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LE NUOVE RADICI ANTICHE G. Nardi
La cultura tecnologica delle costruzioni
Negli elementi costituenti il prodotto architettonico -forma, funzione e tecniche esecutive- si ritrovano specificità che hanno a che fare con la storia delle organizzazioni sociali, sia con la storia della soggettività umana. Le tecniche e i materiali sembrano subordinati a precise scelte culturali, legate anche a simbologie radicate nell'inconscio collettivo, ed è questo il motivo per cui certe tecniche e certi materiali persistono a lungo nel tempo, o si modificano lentamente. Secondo gli studiosi di antropologia e di storia della tecnologia, in una civiltà materiale qualsiasi costruzione è di solito un'entità complessa. È cioè espressione di conoscenze tecniche particolari, di condizionamenti geografici e di fattori culturali legati ad una organizzazione sociale determinata 616f55g . Il modello strutturale dell'abitazione resiste tanto al cambiamento, perché, fintanto che permane una profonda integrazione fra territorio, organizzazione sociale e sapere 'aspetto delle costruzioni, che questa unità rappresenta, è difficilmente modificabile. Non solo, ma è proprio l'elemento culturale che determina la scelta dei materiali e delle tecniche. E anche quando scompare la civiltà materiale di cui il fattore culturale degli edifici è rappresentazione, esso, divenuto simbolo, permane nell'immaginario collettivo. A volte la natura dei materiali da costruzione può contribuire a determinare la forma delle abitazioni. In realtà le forme delle case sono ben lontane dall'adeguarsi semplicemente ai materiali disponibili. Una determinata forma della costruzione persiste anche quando gli uomini sono costretti utilizzare materiali nuovi. Ne l'uso di certi materiali e di tecniche è riducibile a semplice adattamento delle costruzioni alla situazione climatica. La scelta dei materiali e l'uso di tecniche particolari sembrano essere solo relativamente influenzati dalle condizioni ambientali. Appaiono invece fortemente condizionati dall'organizzazione sociale e familiare e dalle tradizioni religiose, cioè dall'elemento culturale, spesso interiorizzato e operante a livello non cosciente.
L'unico grande avvenimento che abbia portato radicali cambiamenti nell'uso dei materiali e delle tecniche costruttive, rendendoli in parte autonomi da forma, funzione e storia locale, è stata la rivoluzione industriale. Si possono riassumere in tre grandi principi le modificazioni portate da tale avvenimento: 1) la sostituzione dell'abilità è della fatica umana con le macchine; 2) la sostituzione dell'energia animale con l'energia di fonti inanimate; 3) l'uso di nuove e più abbondanti materie prime, soprattutto minerali, in luogo di quelle vegetali e animali. Per la prima volta nella storia, economia e coscienza crescono tanto rapidamente da generare un flusso continuo di investimenti e innovazioni tecnologiche, che portano nei paesi investiti dalla rivoluzione industriale ad una rottura col passato. L'integrazione tra natura e cultura si spezza scindendosi in tanti "saperi" legati non più a un luogo specifico, ma all'evolversi delle tecnologie. In questo periodo si modificano anche le tecniche edili: si usano materiali nuovi e le tecniche costruttive si adeguano alla nuova organizzazione del lavoro. Un ulteriore approccio per cogliere il rapporto tra le modalità del costruire e le istanze della cultura può essere quello di prendere in esame i risultati delle ricerche sulla classificazione delle tecniche. Tale classificazione rispecchia i tre momenti della produzione, dall'assemblaggio, e dell'impiego. Essa ci è utile per comprendere che un processo tecnico è un insieme di azioni che non possono essere analizzate separatamente le une dalle altre: non dobbiamo soltanto studiare gli atti tecnici, bensì capire l'insieme degli atti tecnici. L'industrializzazione delle costruzione si è sviluppata secondo due grandi linee: quella della cosiddetta prefabbricazione chiusa e quella della prefabbricazione aperta. La prima ha la caratteristica di predisporre anche l'assemblaggio dei prodotti, i quali in genere possono essere uniti in modo univoco. Ne risulta quindi un condizionamento totale della distribuzione e delle prestazioni degli spazi arrivando a prestabilire un modello d'uso degli elementi forniti. Si finisce così per invadere i campi del progettista. Ne consegue una dominanza delle "ratio" produttiva sulla "ratio" progettuale, fino a ridurre la potenzialità di quest'ultima e facilitarne l'estraneazione nei settori formale, tecnologico e normativo. Il secondo tipo di industrializzazione, invece, quello che può essere chiamato anche aperto, interviene limitandosi a fornire, in alternativa e in sostituzione alla produzione artigianale i vari prodotti da assemblare, agendo quindi solo sulle tecniche produttive e lasciando intatta la sfera di competenza del progettista culturale. Questa via è rimasta quasi del tutto allo stadio di progettazione, mentre la prima, per raggiungere livelli di produzione realmente economici, ha finito per deludere i progettisti. Proprio la confusione tra le tecniche di assemblaggio potrebbe spiegare l'insoddisfazione che da più parti si leva per i prodotti attuali dell'architetto o del progettista. Sono criticati tutti i progettisti che si rifanno all'architettura moderna; essi sono ritenuti colpevoli di non sapere trovare soluzioni tecniche funzionali alle comodità degli abitanti, perché troppo subordinati a un ideale di bellezza astratta e discutibile. Il progettista non riesce a interpretare la nuova domanda connessa all'abitare, configurando assetti spaziali e di arredo che permettono a chi abita il recupero e il chiarimento della propria identità culturale e civile; d'altra parte egli non conosce a fondo i prodotti da assemblare, ne le nuove tecnologie, mostrando una certa "ignoranza" delle tecniche esecutive dell'edilizia e della loro specificità. Questa ignoranza tecnica porta il progettista a delegare ad altri il campo che è proprio delle tecniche esecutive. Ma gli spazi resi liberi, in questo modo vengono riempiti da forze che, anziché piegare le tecniche dell'edilizia a "un'architettura che si prenda cura dell'uomo" rispondono esclusivamente a un loro logica interna. Gli spazi resi vacanti sono spesso occupati dagli imprenditori dell'edilizia, che nella costruzione delle moderne abitazioni sono guidati da motivi essenzialmente economici, e quindi scelgono un'industrializzazione per sistemi chiusi incaricandosi di prefigurare i modelli d'uso di interi edifici. È invece impossibile proporre delle norme rigide per la fase d'assemblaggio, poiché ci vorrebbe dire proporre dei modelli di vita standardizzati e togliere di fatto ogni spazio al progettista come interprete di cultura. La cultura architettonica deve allora superare la sua ignoranza, nei confronti delle discipline tecnico-esecutive, se vuole ricomporre la divaricazione tra tecnica e scelte formali e scelte tipologiche.
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