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ORIGINI, CARATTERI E STRUTTURA DELLA MODERNA SOCIETÀ INTERNAZIONALE

diritto



ORIGINI, CARATTERI E STRUTTURA DELLA MODERNA SOCIETà INTERNAZIONALE

la nozione di diritto internazionale

La definizione di diritto internazionale dipende ovviamente dalla teoria del diritto cui si aderisce. Come definizione preliminare si può parlare del diritto internazionale pubblico come di insieme di regole di condotta i cui soggetti portatori di pretese e di obblighi sono gli stati. Diritto internazionale privato è invece l'insieme delle norme di un determinato ordinamento giuridico disciplinanti i conflitti di leggi e giurisdizioni derivanti dalla coesistenza di più sistemi giuridici nazionali e distinti.



Nel passato i giuristi per indicare le regole giuridiche disciplinanti i rapporti fra enti sovrani e indipendenti usavano il termine ius gentium e ius naturale che veniva così man mano a perdere il significato originale di diritto privato comune dei diversi popoli soggetti all'impero romano.

Fu l'inglese Zouche che per primo utilizzò il termine ius inter gentes (feciale) per differenziarlo dallo ius gentium così carico della originale romanistica significanza.

Oggi la dizione diritto internazionale si è ormai imposta anche se effettivamente essa non è indicativa dei soggetti che tale diritto riguarda e per ciò sono state proposte altri termini come quello di diritto interstatuale, tra potentati, etc.

Un punto fondamentale è che il concetto di diritto internazionale presuppone necessariamente l'esistenza di una società internazionale, l'esistenza della pluralità di soggetti cui imputare obblighi e pretese.

le origini della moderna società internazionale: varie teorie

La parte maggiore della dottrina concorda nell'individuare l'origine della società internazionale nel periodo fra il XV e XVII secolo, ossia nel passaggio dallo stato patrimoniale allo stato assoluto con il consolidamento di una pluralità di monarchie nazionali in particolar modo in Europa. Tale configurazione di diverse sovranità, combinatasi con lo sviluppo delle comunicazioni fra le nazioni che diventerà sempre più necessario tanto più si realizzerà la trasformazione dell'economia da agricola pastorale a industriale, renderà naturale il verificarsi di stabili rapporti fra le diverse comunità. Tutto ciò in un preciso quadro culturale che prende atto di tale situazione (o le dà impulso) costituito dal pensiero politico di tanti fra i quali Bodin, Machiavelli, Hobbes

E' il passaggio dallo stato patrimoniale feudale allo stato assoluto moderno con la sua s 737c24h ovranità (potestà di comando suprema, originaria e indipendente) che si lascia alle spalle il problema medioevale del rapporto fra stato e chiesa e della lotta per le investiture. Lo lascia alle spalle non perché abbia avuto un esito tale scontro, ma perché col passare del tempo il problema stesso perdeva di interesse visto che l'unità del cristianesimo era venuta meno (grande ruolo della riforma). Quasi paradossalmente l'ultimo tentativo di salvare la potestà universale rappresentato dal Sacro Romano impero degli Asburgo termina in un atto che testimonia la nuova realtà. Nella spinta controriformistica e nel tentativo di riaffermare l'impero ci si imbarcò nella grande guerra dei trent'anni che ebbe fine con la pace di Westfalia del 1648 la quale non è altro che una conferma della ormai sorta comunità di stati sovrani e assoluti, una conferma del nuovo mondo moderno.

Altra parte della dottrina invero ha cercato di fare risalire le origini della società internazionale all'alto medioevo, considerando la evoluzione dal feudalesimo allo stato assoluto come un processo di continuità nell'ambito di una originaria comunità cristiana. Ma rimane una differenza essenziale che è poi un punto di svolta. Prima il rapporto è sempre gerarchico (e la grande lotta fra stato e chiesa è per stabilire il primato assoluto), poi il rapporto diviene paritario. E' con tale rapporto paritario che veramente si può parlare di comunità internazionale di tipo moderno. Infatti altrimenti bisognerebbe risalire fino all'antichità classica perché i rapporti fra imperi vi sono sempre stati (si pensi ai rapporti fra le polis greche). Ma fra questi tipi di rapporti e l'odierna realtà internazionale non si potrebbe rintracciare alcun nesso di continuità.


La comunità internazionale nasce con l'affermarsi di stati sovrani che per esigenze sempre maggiori tanto più mutava la realtà economica e tecnologica strinsero sempre più regolari rapporti. Stabili in quanto autonomamente fondantesi su un insieme di regole di condotta che assursero opinio iuris ac necessitatis e che sempre più venivano invocate dalle parti nei loro rapporti.


la moderna società internazionale come società naturale e necessaria

Nel dire che la società internazionale è una società naturale si vuole sottolineare che essa non è il prodotto di un patto sociale o di un accordo fra i soggetti che la compongono. Essa sorge per il solo fatto che si manifesti una sovranità nazionale che viene a contatto con un'altra. E nell'era moderna è naturale che con il venirsi a creare in un determinato ambito territoriale un potere supremo, una suprema potestà di comando fra tutti i cittadini, questa venga in contatto con la suprema autorità di comando del territorio contiguo e dei cittadini che con i suoi cittadini hanno rapporti economici sempre crescenti. Rapporti economici e contatti che sempre più si universalizzano con le nuove scoperte geografiche. Al proposito delle quali è da notare che secondo parte della dottrina la moderna società internazionale e il suo diritto sarebbero stati al suo inizio una società e un ordinamento giuridico puramente europei. Concezione eurocentrica che si è talvolta tradotta in un appoggio ideologico all'espansione coloniale delle potenze europee giustificata dal fatto di considerare le entità politiche costituite nei territori di oltre mare oltre che diverse inesistenti, come territori nullius, suscettibili di occupazione da parte delle potenze civili.


L'universalismo della moderna società internazionale si è man mano ampliato, soprattutto nei venti anni successivi alla seconda guerra mondiale con la massiccia decolonizzazione avvenuta anche grazie alle Nazioni Unite. A riguardo la Carta delle Nazioni Unite, adottata a San Francisco il 26 giugno 1945, dispone fra i fini della organizzazione anche il principio della uguaglianza dei diritti e dell'autodecisione dei popoli limitandosi a sancire che gli Stati membri, che si assumono la responsabilità dell'amministrazione di territori la cui popolazione non ha ancora raggiunto l'autonomia, hanno il dovere di sviluppare l'autogoverno delle popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in armonia con le circostanze particolari di ogni territorio e delle sue popolazioni e del loro diverso grado di sviluppo. In tale sede si evita di parlare di indipendenza, preferendosi il termine auto governo. Solo nel 1960 l'Assemblea Generale ha dichiarato che l'assoggettamento dei popoli ad un dominio straniero è contrario alla Carta delle Nazioni Unite, interpretando estensivamente il testo originario, disponendo altresì che un territorio raggiunge una piena condizione di autogoverno tramite la sua costituzione in Stato sovrano indipendente, l'associazione con uno stato indipendente o l'integrazione con uno stato indipendente. Molti degli stati che così raggiunsero l'indipendenza costituirono il gruppo dei 77 (paesi in via di sviluppo nei negoziati economici) gruppo dei non allineati (paesi in via di sviluppo nei negoziati politici).


la moderna società internazionale come società priva di una propria struttura istituzionale

Sin dall'origine i soggetti della società internazionale si rifiutarono di riconoscere sopra di loro alcuna autorità, in affermazione della propria sovranità, della quale ammettono la limitazione, ma solo come auto limitazione, rimanendo la sovranità originaria e non dipendente dalla concessione o attribuzione altrui. Per ciò la mancanza di una organizzazione politica e istituzionale nell'ambito del diritto internazionale, paragonabile a quella delle società nazionali. Per tale motivo la dottrina ha parlato della società internazionale come di una società paritaria basata sulla giustapposizione dei suoi membri, anziché società gerarchicamente organizzata. In altre parole una società con struttura essenzialmente privatistica. Addirittura taluni hanno parlato di società non organizzata od anarchica. Tale situazione si può descrivere con la elencazione di alcuni caratteri:

- non esiste un legislatore sovraordinato ai soggetti della società

- le norme derivano o dalla consuetudine o da trattati (formazione spontanea o volontaria)

- il giudice non può pronunziare la sentenza se tutti i litiganti non gli hanno conferito la giurisdizione, ossia le parti non siano d'accordo a rimettere la decisione a quel terzo

- non esistono organi di tipo esecutivo.

Da tali elementi è sorto il problema di stabilire se effettivamente un sistema così primitivo sia o meno un ordinamento giuridico. La risposta ovviamente dipende dalla definizione di ordinamento giuridico.

Classico argomento a favore della giuridicità dell'ordinamento internazionale è l'effettività delle sue norme (quasi tutti gli stati osservano quasi tutte le regole)[1]


D'altra parte il rapporto paritario dei membri della società internazionale è sancito direttamente dalla Carta delle Nazioni Unite dove si afferma che la Organizzazione è fondata sul principio della sovrana uguaglianza di tutti i membri. Uguaglianza tradotta in una dichiarazione del '70 ove si specifica il suo significato in vari punti:

- gli stati sono uguali dal punto di vista giuridico

- ogni stato gode dei diritti inerenti alla piena sovranità

- ogni stato ha l'obbligo di rispettare la personalità degli altri stati

- l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dello stato sono inviolabili

- ogni stato ha diritto di scegliere e sviluppare liberamente il suo sistema politico, sociale, economico e culturale

- ogni stato è tenuto ad adempiere pienamente e in buona fede i suoi obblighi internazionali e a vivere in pace con gli altri stati


In realtà la dottrina ha sottolineato che tale parità si è tramutata in un equilibrio instabile fra punti di forza impari, fonte di ulteriore ostacolo alla pace e alla uguaglianza delle nazioni.


A tale proposito si ricorda il ruolo svolto nella comunità internazionale dalle grandi potenze nella gestione degli affari internazionali, inevitabile conseguenza della indipendenza fra le nazioni e della mancanza di un apparato politico istituzionale dedicato. Tale squilibrio si è riflesso persino in sede di Consiglio di sicurezza sulle questioni non procedurali (sostanziali) dove nella Carta allo art. 27 su di un totale di 15 voti richiesti, sono necessari 9 voti favorevoli nei quali siano compresi quelli dei cinque membri permanenti (Cina, Francia, Unione Sovietica, Regno Unito, Stati Uniti).


il diritto internazionale nella scienza giuridica


la dottrina classica del diritto internazionale

Si tratta del pensiero maturato a partire dal XV secolo che ha la sua radice nel patrimonio giuridico romanistico e in particolare nei suoi concetti di ius naturae o naturale e di ius gentium

Lo ius commune gentium esprimeva l'idea di un fenomeno giuridico caratterizzato da norme comuni e adottate presso tutte le genti in tutti i paesi (quo iure omnes gentes utuntur). Esso poteva riguardare anche i comportamenti dei reges e dei principes superiorem non riconoscentes.

Lo ius naturae ovviava alla mancanza di autorità superiori alle singole sovranità imponendosi come ordine razionale naturale. Esso non veniva inteso come insieme di precetti costruiti dalla filosofia morale ma come vivente nei rapporti fra pari (le sovranità nazionali).

Ugo Grozio, il famoso autore del De iure bellis ac pacis, afferma la giuridicità di quello che noi oggi diremmo diritto internazionale come rispondente al diritto, al dovere essere, imposto dalla razionalità comune a tutti gli uomini. L'affermazione più nota è quella che il diritto naturale esisterebbe anche se Dio non esistesse. Centro del suo pensiero è la razionalità.

Un secolo dopo Jean Jacques Burlamaqui vede nel diritto regolante le relazioni tra stati come riflesso di una società analoga a quella che naturalmente stringe gli uomini. Ma se il diritto des gentes o Lois des Nations nasce dalla razionalità umana esso, come la ragione umana, è immutabile.

Immutabilità che va attenuandosi nel pensiero successivo.

Vanno comunque ricordati Francisco de Vitoria, Alberico Gentili e Richard Zouche, che si soffermano sui soggetti dello ius inter gentes qui superiorem non habent, mentre l'analisi da astratta si fa sempre più concreta verso gli effettivi soggetti di imputazione dell'ordinamento. Anche se non mancano elaborazione teoriche giusnaturalistiche di carattere squisitamente filosofico come quelle di Samuel Pudendorf e Christian Wolff

Ad avviso degli autori colui che condensò e catilizzò il pensiero della dottrina classica fu Johann Jacob Moser, ormai nel XVIII secolo, che accentrò la sua attenzione sulla fonte principale del diritto internazionale: la consuetudine che fonda uno ius commune contrapposto allo ius particulare scaturente dai trattati stipulati dai singoli paesi. Ma lo stesso ius particolare trova la sua giustificazione ancora nello ius commune: pacta sunt servanda.


il positivismo statalistico e il positivismo critico

Punti cardine di tale dottrina sono la centralità dello stato come unica fonte sovrana di diritto e la coercibilità come elemento caratterizzante il fenomeno giuridico.

Esemplare John Austin per il quale il diritto positivo consiste in quelle norme che un superiore politico pone e impone a tutti coloro che sono a lui subordinati. L'imperatività deontologica è essenziale al diritto. In questa concezione trova poca ospitalità il diritto consuetudinario che vede indiretto riconoscimento solo in quanto riportabile alla volontà di uno stato sovrano. Perciò per Austin le norme internazionali non sono vere norme giuridiche, mancando quel superiore politico che le possa imporre. Altri positivisti ammisero invece la giuridicità solo delle norme derivanti da trattati.

Diversamente Heinrich Triepel e Dionisio Anzilotti individuarono quel superiore politico nella collettività di stati, cui ogni stato nella sia singolarità è subordinato. Il centro dell'attenzione dottrinale è dunque il trattato, vera fonte del diritto internazionale, in cui al limite anche la consuetudine si risolve come fattispecie tacita. Ma il pensiero del Triepel fu sempre negatore della unicità del diritto internazionale che invece si risolverebbe in una pluralità di sistemi, tanti quanti i trattati.

Sempre nell'ambito del positivismo (e del neo Kantismo dal punto di vista filosofico) si colloca una linea di pensiero assai diversa: quella di Hans Kelsen

Egli riconosce le due principali fonti del diritto internazionale come la consuetudine e il trattato, qust'ultimo poggiato sulla suprema norma consuetudinaria pacta sunt servanda. Ne consegue il carattere particolare del diritto pattizio internazionale vigendo le sue norme non per tutti gli stati ma solo per gruppi. Si parla allora di diritto internazionale convenzionale particolare e di diritto internazionale consuetudinario generale come di due diversi livelli di una Stufenbau che viene ad integrarsi poi alle norme giuridiche dei c.d. tribunali internazionali. Stufenbau che ha al vertice chiaramente la consuetudine in quella norma che la autoimpone alle comunità.

Certo si tratta di un diritto primitivo: le conseguenze della violazione del diritto internazionale sono la rappresaglia e la guerra. Ma si tratta per Kelsen dell'inizio di uno sviluppo.

A questo punto Kelsen pone la unicità del diritto internazionale come postulato gnoseologico, necessità epistemologica della scienza del diritto, contro le dottrine dualistico pluraliste. Si deve prendere atto del diritto internazionale come si presenta componendo le antitesi normative...

Per operare tale unificazione Kelsen analizza il rapporto reciproco di due o più sistemi normativi. Due complessi di norme possono costituire un sistema unitario in 2 sensi: un ordinamento è subordinato all'altro in quanto uno trova nell'altro il fondamento della sua validità e quindi la sua norma fondamentale; oppure nel senso che entrambi gli ordinamenti sono equiparati fra loro, ossia reciprocamente delimitati nella loro sfera di validità. Ma in questo secondo caso per costituirsi in unità è necessario un terzo ordinamento che determini la produzione degli altri due, li delimiti reciprocamente nelle loro sfere di validità e quindi li coordini. Se il diritto internazionale e il diritto degli stati particolari formano un sistema unitario, il loro rapporto reciproco deve allora consistere in una delle due forme qui descritte. Precisamente il II senso è quello proprio che supera tutte le concezioni dualistiche. Il fatto che coesistano più ordinamenti giuridici delimitati nei loro ambiti di validità, interagenti e coordinanetesi fra loro presuppone la esistenza di un insieme di regole che svolgono tale funzione delimitante e coordinante. In tale concezione il sorgere e il tramontare degli stati, considerati da questo punto di vista, si presentano come fenomeni giuridici come la costituzione e lo scioglimento di una persona giuridica nel quadro del diritto statale interno. La concezione classica, ad avviso del Kelsen, non può che essere negatrice del diritto internazionale in quanto affermante il primato dell'ordinamento giuridico del singolo stato che diviene il fondamento di ogni atto esterno perchè ogni norma del diritto internazionale è valida in quanto riconosciuta dallo stato medesimo. Antitesi fra il dogma della sovranità dello stato e il suo radicale soggettivismo e la concezione oggettiva del diritto. In tale concezione oggettiva la regola del diritto internazionale, operante come schema qualificativo, collega ad un determinato evento la sanzione corrispondente (rappresaglia o guerra). Tale evento è una atto normativo dello stato particolare che è in violazione di un obbligo stabilito dal diritto internazionale. In definitiva la validità di più ordinamenti giuridici particolari deve trovare fondamento in unico ordinamento superiore efffettivo, sia questo un ordinamento assoluto rispetto agli stati, sia che si tratti di un ordimamento di uno stato che per la sua effetività ha il primato sugli altri.


gli sviluppi della dottrina contemporanea

La fase positivistica dello studio del diritto internazionale è la fase del primato del fenomeno giuridico su quello sociale. Proprio l'approccio al diritto internazionale dal punto di vista sociale è ciò che caratterizza gli sviluppi della dottrina contemporanea in cui si pone l'accento non tanto sul problema della validità delle norme internazionali quanto della loro effettiva esistenza.




[1]Per raffforzare la giuridicità dell'ordinamento internazionale la risoluzione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 44/33 del 1989 ha dichiarato che il periodo 1990-1999 costituirà il decennio delle Nazioni Unite del diritto internazionale. Principali obiettivi del decennio: (1) promuovere accettazione e rispetto delle norme internazionali, (2) promuovere strumenti e metodi per la rispluzione pacifica delle controversie, in particolare con il ricorso alla Corte Internazionale di giustizia (3)incoraggiare la codificazione e la conoscenza del diritto stesso.




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