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Filosofo, è il più importante esponente dell'illuminismo tedesco. Nasce a
Königsberg nel 1724 ed ivi muore nel 1804, dopo una vita povera di avvenimenti
sociali. La sua occupazione fu di precetto-re privato, ma continuò in ogni modo
ad approfondire i suoi studi.
ANNI GIOVANILI O PERIODO PRECRITICO
Mostrò un notevole interesse scientifico, principalmente per la fisica
newtoniana e l'astronomia. In questi campi, elaborò la TEORIA DELLA NEBULOSA
detta anche TEORIA DI KANT - LAPLASSE, secondo la quale l'universo aveva avuto
origine da una nebulosa, smentendo così la TEORIA CREAZIONISTA DELLA GENESI. E'
messa in dubbio l'idea di un Dio creatore ed anche la validità della Bibbia a
livello scientifico.
Secondo la teoria della nebulosa, all'inizio nello spazio vuoto vagavano parti
fluide che però erano attirate da quelle più aggregate dando origine a nuclei
pesanti. I corpi, che si formavano da tale ag-gregazione, erano in grado di
esercitare la forza di gravità e di attrarre altri corpi con forze
tangen-ziali. In tale modo si formavano stelle e pianeti
Chiaramente teoria si scontra con quanto affermato dalla Chiesa.
1770 -1780
Periodo durante il quale non pubblica alcunché, ma compie studi intensi che
precedono il CRITICISMO KANTIANO.
1780 - 1790
1781 pubblica la CRITICA DELLA RAGION PURA (1° EDIZIONE)
1788 pubblica la CRITICA DELLA RAGION PRATICA
1790 pubblica la CRITICA DEL GIUDIZIO
Si avvicinò alla filosofia per trovare una soluzione al problema del metodo e
al problema degli in-terrogativi ai quali la scienza non sa rispondere.
FASE PRE - CRITICA
Attraverso la lettura di WOLFF (razionalista che si aggancia al pensiero di
CARTESIO e si collo-ca nell'INNATISMO e RAZIONALISMO con conoscenze di tipo
metafisico), si ispira a LEIBNIZ.
Con la lettura di HUME (empirista) termina la sua fase CONOSCITIVA. Secondo
Kant, la mente è una TABULA RASA e ogni conoscenza deriva dall'esperienza
(LOCKE). Fondamentalmente è uno scettico ("Se ogni conoscenza deriva
dall'esperienza, in non penso di avere conoscenza certa di ciò di cui non ho
esperienza né conoscenza"). Inoltre, le leggi scientifiche non sono universali
e possono essere sconfessate dall'esperienza (probabilità). Nell'esperienza non
c'é mai un RAPPORTO CAUSA - EFFETTO, ma ciò che deriva viene dall'ABITUDINE.
Tutte le conoscenze derivano dall'esperienza, perché essa imprime delle
impressioni e da loro si ri-cavano le IDEE. L'impressione è più viva dell'IDEA:
Più l'esperienza è diretta e più ci si allontana e l'IDEA sbiadisce.
Kant ripensa al problema della conoscenza e per questo motivo per 10 anni non
pubblicherà niente.
PROCESSO ALLA RAGIONE STESSA
ESAME DELLA RAGIONE PER INDAGARNE I LIMITI
1781 CRITICA DELLA RAGION possibilità e
limiti della ragione nel momento della conoscenza PURA
1788 possibilità e limiti volti alla
prassi CRITICA DELLA RAGION PRATICA
(comporta-menti morali)
prende in esame altri 1790
CRITICA DEL GIUDIZIO campi di indagine
umane oltre alla co-noscenza e all'etica.
Critica della ragion pura
TEMA: LIMITI E POSSIBILITA' DELLA RAGIONE UMANA (VEDI LOCKE)
Kant esamina il RAZIONALISMO cartesiano e di Spinoza e l'EMPIRISMO di Locke a
partire da Hume. L'empirismo segue un procedimento che nega l'esistenza di idee
innate; l'intelletto elabora i dati dell'esperienza con un procedimento
induttivo.
Analizzando la tesi razionalistica (processo interno mentale), K. osserva che i
razionalisti fanno uso del GIUDIZIO ANALITICO A PRIORI (i corpi sono estesi);
SONO ESTESI è il predicato che viene attribuito al soggetto per via analitica
ovvero analizzando lo stesso. Questo non deriva dall'esperienza e perciò è
universale e dunque valido sempre e per tutti necessario. Questo tipo di
giudizio se è universale e necessario non arricchisce la mia conoscenza, perché
esplicita quello che è già contenuto nel soggetto (LIMITE DEL RAZIONALISMO).
EMPIRISMO
Usa il GIUDIZIO SINTETICO A POSTERIORI (i corpi sono pesanti). Si annette al
soggetto un predicato estensivo per via sintetica e si può aggiungere qualcosa
perché è a posteriori. E' fecondo, ma il suo limite è quello indicato da Hume:
proprio perché è a posteriori non è universale e necessa-rio (si è certi solo
avendo avuto l'esperienza: l'esperienza futura può annullare quella presente).
Per K. la scienza deve avere universalità e necessità. Deve avere attributi validi
sempre e necessari per l'uomo, i quali allo stesso tempo devono essere fecondi.
Né il METODO RAZIONALE né quello EMPIRICO conferiscono questo modello. Kant
trova che Cartesio porti all'universalità e alla necessità, ma il suo metodo è
sterile. L'empirismo porta al-lo scetticismo che accresce la conoscenza, ma non
è universale e necessario. Ne deriva che Kant condivide l'empirismo per
arricchire la conoscenza, ma allo stesso tempo trova necessario evitare lo
scetticismo perché da lui non condiviso. Dunque la conoscenza deve essere
sintetica, cioè compren-siva di elementi empirici e razionalmente fondata: la
forma del giudizio è quella del GIUDIZIO SINTETICO A PRIORI (fusione tra il
GIUDIZIO ANALITICO A PRIORI e IL GIUDIZIO SINTETICO A POSTERIORI: i contenuti
derivano dall'esperienza ma essi vengono sintetiz-zati attraverso forme mentali
pure a priori).
Kant ritiene che, a parte per la metafisica, per le altre conoscenze sia
avvenuto un processo di svol-ta. Per la matematica questo è avvenuto presso i
Greci, per la fisica con Bacone e Galileo. Il giudi-zio scientifico è GIUDIZIO
SINTETICO A PRIORI (la nostra mente è una tabula rasa e tutto deriva
dall'esperienza, ma essi sono sintetizzati attraverso forme mentali, PURE A PRIORI, che garanti-scono universalità
e necessità. Es.: spazio/tempo per K. non sono entità reali (come invece per
Newton, per Leibniz erano rapporti tra le cose). Per K. sono forme pure a priori innate con cui noi elaboriamo
l'esperienza. Sono forme e non contenuti, universali e necessarie. Rapporto
cau-sa/effetto (per Hume non c'era): per K. noi abbiamo questa forma a priori;
in tal modo questo rap-porto non verrà mai smentito. La scienza usa il giudizio
sintetico a priori. Questa svolta è avvenuta quando le menti umane si sono
accorte che bisogna elaborare l'esperienza e non rimanere passivi.
CRITICISMO E CONCETTO DI TRASCENDENTALE
La filosofia di K. si chiama criticismo e indica il proprio punto di vista
filosofico, alternativo sia al dogmatismo sia allo scetticismo, e considera
vera conoscenza solo quella ottenuta attraverso i prin-cipi a priori, ma
fondata nel soggetto e limitata al campo dei fenomeni.
Trascendente = ciò che trascende il mondo dell'esperienza (metafisico).
Per K. trascendentale è diverso da trascendente.
TRASCENDENTALE = è ciò che non appartiene all'esperienza ma che viene usato per
conoscere l'esperienza (contrapposto a empirico). Le forme pure a priori (spazio, tempo, categorie) per
K. so-no trascendentali.
Spazio, tempo sono innati in noi, non vengono dall'esperienza, servono all'uomo
per organizzarla e vanno usati in base ad essi. Trascendentale è anche quella
scienza che si occupa del come l'uomo conosce gli oggetti. I sensi sono il
primo canale col quale entriamo in contatto col mondo esterno, con le cose.
ESTETICA TRASCENDENTALE: indaga su come avviene la conoscenza sensibile. Anche
per K. la mente conosce quando i contenuti derivano dall'esperienza. Se per
Locke e Hume il soggetto era passivo (recepiva solo dati, suoni), per K.,
invece, il soggetto è attivo perché i dati sensibili vengono inquadrati in due
forme pure a priori: lo spazio e il tempo. Essi sono
dati empirici, usati per cono-scere l'esperienza ma sono nell'uomo. LO SPAZIO E
IL TEMPO sono trascendentali e servono per conoscere l'esperienza (in senso
esterno usa la forma pura a priori dello spazio, mentre in senso interno quella
pura del tempo in quanto è all'interno della memoria). Intuizione sensibile: è
la cono-scenza che noi abbiamo dall'esperienza ed è organizzata secondo lo
spazio e il tempo. Per K. l'esperienza è di due tipi : mondo esterno e mondo
interno. Il primo usa forme pure a priori dello spazio (davanti/dietro,
sopra/sotto, dx./sx.), l'altro usa le forme pure a priori del tempo che sono
in-teriori alla memoria. Nell'estetica trascendentale K.. fa un discorso anche
sulla matematica e la ge-ometria; riaffronta questo problema perché la
matematica è universale e necessaria ma non fa uso dell'esperienza; egli è
interessato ad una matematica che può servire alla fisica (metodo newtoniano -
galileiano). K. afferma che l'aritmetica è fondata sul tempo e la geometria
sull'idea di spazio. Spazio e tempo lavorano per sintesi a priori e la loro
scientificità permette la loro applicazione nel mondo dell'esperienza.
LA LOGICA TRASCENDENTALE
Se l'estetica trascendentale ha portato a termine l'indagine delle forme pure
della sensibilità, la lo-gica trascendentale estende tale esame alla conoscenza
intellettuale. Essa si divide in due parti: ana-litica trascendentale e in
dialettica trascendentale.
L'a. trascendentale studia la conoscenza intellettuale corretta ed elabora
concetti dell'esperienza.
La d. trascendentale studia i concetti scorretti e la ragione senza riferirsi
all'esperienza.
ANALITICA TRASCENDENTALE: si occupa delle forme pure a priori della conoscenza
intel-lettuale e non può che costruire sui contenuti dell'esperienza. Le
intuizioni senza concetti sono cie-che e i contenuti senza intuizioni sono
vuoti. I sensi non possono pensare e i
contenuti provengono dall'esperienza. l'intelletto umano non può intuire
L'attività del soggetto si fa più forte e viene esplicitata dalle
CATEGORIE che non sono come in Aristotele e in tutto il mondo greco " generi
sommi dell'essere e del pensiero". Per K. esse sono un conto è l'essere e un
altro conto è il nostro pensiero. In mezzo ci sono le forme pure a priori. La
cosa in sé, l'essere sono le cose al di fuori di noi; il nostro pensiero è
interiore, soggettivo. Le categorie dell'essere non sono empiriche, ma lo sono
quelle del pensare. Dunque sono forme pure a priori dell'intelletto.
Per K. le categorie sono dodici:
- unità: non è dell'esperienza;
- pluralità e tonalità: non sono empiriche ma un nostro modo di catalogare le
cose;
- realtà, negazione e limitazione: sono forme e non contenuti;
- categorico: non è dell'esperienza;
- causa/effetto: è in noi, vale per tutti gli uomini, dunque è universale e
necessaria;
- agente/paziente: reciprocità;
- possibilità/impossibilità, esistenza/inesistenza, necessità/contingenza: sono
pure.
Il nostro intelletto elabora concetti che sono il prodotto di sintesi a priori
in cui il contenuto è dato dalle intuizioni sensibili che vengono unificate
attraverso le dodici categorie, universali e necessarie perché presenti in ogni
uomo.
Come è possibile la fisica? La conoscenza che deve fare i conti con un mondo
già esistente è la pos-sibilità umana di conoscere il mondo della natura. K.
stesso si era interessato a questa disciplina: es-sa è una scienza in via di
progresso. Per K. la fisica è una conoscenza di tipo intellettuale che pro-cede
per concetti; essi costituiscono una sintesi di dati sensibili. Rispetto alle
intuizioni sensibili la diversità è che sono intuizioni particolari (con i
cinque sensi posso cogliere un singolo aspetto della realtà); il lavoro
dell'intelletto è un lavoro di sintesi attraverso il quale il mondo della
natura viene organizzato come un insieme completo. In questo tipo di lavoro noi
usiamo le 12 categorie, che non appartengono all'esperienza bensì sono nostre
categorie mentali.
La deduzione trascendentale delle categorie (parte dell'analitica).
Deduzione nel linguaggio forense: è la dimostrazione della legittimità. K.
ritiene di dover dimostra-re che l'uso delle categorie è legittimo, porta
conoscenze universali e necessarie. Diversità tra cosa in sé (natura così
com'è) e natura organizzata dall'uomo: Quest'uso è legittimo se ci ricordiamo
che quando usiamo le categorie riduciamo la natura a forma umana (come appare a
noi).
L'IO PENSO: consapevolezza di ogni uomo di pensare, di raccogliere tanti dati
dall'esterno e poi sintetizzarli (io che ascolto la musica, io che guardo il
paesaggio). I nostri sensi ci danno continua-mente questi segnali. Se l'io
cartesiano è capace di conoscere tutto con la ragione, l'io kantiano co-nosce sempre
in relazione al mondo esterno. Tutte le conoscenze umane sono dell'uomo; ogni
co-noscenza è un lavoro di organizzazione del modo in cui egli vede le varie
cose. Nella parte finale dell'analitica trascendentale, K. si promette di
mostrare la distinzione tra FENOMENO E NOUMENO. K. dice che la conoscenza umana
e fenomenica e non noumenica. La conoscenza umana è fenomenica, cioè è come gli
uomini vedono il mondo. Questo concetto cambia quello di natura, vista come
organizzata, costruita. Il fenomeno è l'unica conoscenza alla portata
dell'uomo.
Noumeno: è la cosa in sé, la cosa reale indipendentemente dalla nostra
conoscenza. In greco signifi-ca pensabile ma non conoscibile. Posso pensare che
esista questa cosa in sé, ma non posso cono-scerla perché allora si
trasformerebbe in fenomeno. Il noumeno è quindi limitato al solo pensiero ma è
anche il mondo della metafisica (Dio, l'anima). Posso pensare che Dio esista ma
non cono-scerlo, perché non può esserci la conoscenza sensibile degli enti
metafisici. L'uomo conosce il mondo come gli appare e come appare a tutti gli
uomini, ma non potrà mai conoscerlo in sé. Per K. la conoscenza è come
un'isola; su di essa egli ha la conoscenza ed è libero e sicuro di muoversi, ma
non può andarsene e affrontare il mare (noumeno), perché l'isola è il limite
che non può superare.
DIALETTICA TRASCENDENTALE: studia i comportamenti scorretti. La dialettica per
Platone è la conoscenza più alta, che conosce le idee e l'idea del bene.
Aristotele usa questo termine con si-gnificato di capacità di persuadere gli
altri. Partendo da alcune premesse, si arriva a delle conclu-sioni, vere o
false, che però vanno bene ad entrambi gli avversari. K. usa la dialettica come
arte di costruire conoscenze illusorie. In questo ambito usa il termine ragione
come " uso scorretto delle nostre capacità intellettuali", cioè con significato
diverso a quello datogli normalmente. La ragione diventa l'uso scorretto
dell'intelletto. Intelletto: lo uso per conoscere ciò che c'è dentro alla mia
e-sperienza. Ragione: conoscenza fuori dall'esperienza, uso sbagliato
dell'intelletto. K. distingue an-che concetto e idee. Concetti: sono un
prodotto dell'intelletto, che sintetizzano le conoscenze sensi-bili ricavando
concetti e hanno valore scientifico. Idee: sono costruzioni mentali, un
prodotto della ragione privo di contenuti sensibili: Dio, anima, mondo nella
loro totalità non sono concetti ma ide-e. Esse si formano perché il nostro
pensiero segue dei procedimenti corretti. Le idee sono quindi metafisiche e non
possono realizzare giudizi sintetici a priori perché manca l'esperienza. Per K.
le idee metafisiche pretendono di conoscere la totalità. L'uomo tende a
superare i suoi limiti, quindi la ragione crea idee illusorie che possiamo
pensare ma non conoscere (noumeno). Dalle tre idee K. ri-cava le tre parti
della metafisica:
anima: psicologia razionale condotta attraverso la ragione metafisica;
mondo: cosmologia razionale condotta attraverso la ragione (fuori
dall'esperienza);
Dio: teologia razionale condotta attraverso la ragione (parte più vasta della
metafisica).
Queste tre parti vengono riprese da K. per criticarle e fanno parte del
vocabolario di Wolff.
Psicologia razionale: costruzione umana. K. si chiede da dove nasce l'idea di
anima; essa nasce dalla nostra consapevolezza di pensare e dal fatto che le
attribuiamo la categoria di sostanza. Nasce da un ragionamento sbagliato
(paralogismo). La psicologia razionale nasce da un ragionamento er-rato,
illusorio che attribuisce all'anima la categoria di sostanza.
Cosmologia razionale: insieme dei fenomeni esterni. K. dice che la cosmologia
razionale è sempre caduta in antinomie (= tesi e antitesi contraddittorie tra
loro, tuttavia ugualmente dimostrabili); la cosmologia razionale cade in queste
antinomie perché si avventura fuori dai suoi limiti, fuori dall'esperienza. Non
è possibile uscire dalle antinomie perché la metafisica non accetta l'uso
dell'esperienza per risolvere queste contraddizioni. Le antinomie sono quindi
insolubili (campo di battaglia, senza vincitori né vinti). La cosmologia
razionale studia i fenomeni intorno all'universo, nella sua totalità e non solo
su una parte. In questo ambito non è possibile fare la verifica perché non si
può usare l'esperienza.
Teologia razionale: l'idea di Dio è la totalità, l'ideale della metafisica.
L'uomo si è sempre posto interrogativi sulla causa prima della nascita del
mondo. La teologia razionale studia le prove sull'esistenza di Dio, in
particolare quelle del Medioevo provenienti però dalla filosofia classica
(furto sacro). Tutte queste prove sono di tre tipi: le prove ontologiche
(Cartesio, Sant'Anselmo) le prove cosmologiche (Aristotele, San Tommaso), le
prove fisico teologiche (Platone).
Prova ontologica: dimostrazione a priori, parte dall'esistenza di un essere perfetto
per arrivare a dimostrare l'esistenza di Dio. Tutti hanno il concetto di Dio
(anche l'ateo), cioè di un essere del quale non si può pensare nulla di più
grande. Da qui Anselmo afferma che se non si può pensare nulla di più grande
(di Dio), allora Dio possiede tutti gli attributi. Questa prova viene
contestata da un monaco, ma Anselmo risponde che quest'ultima non può essere
utilizzata per tutte le cose, ma solo per l'Essere perfetto. K. liquida questa
prova affermando che piano logico e piano ontologico sono due cose diverse.
Questa prova dunque non ha valore.
Prova cosmologica: parte dall'esperienza. E' quella di San Tommaso che ricava
dalla teoria del primo motore immobile di Aristotele. San Tommaso porta cinque
prove cosmologiche a posteriori costruite tutte sullo stesso schema. K. dice
che questa prova non è accettabile, perché fuori dall'esperienza il rapporto
causa/effetto non è valido.
Prova fisico-teologica: K., in uno scritto giovanile, afferma che questa è
l'unica prova in grado di spiegare l'esistenza di Dio, anche se in realtà sa
che essa non può dare una dimostrazione razionale. Questa prova è fondata
sull'armonia del cosmo, cioè sul fatto che ogni parte è finalizzata all'Essere
Supremo. Tuttavia, neanche questa prova è accettabile.
In conclusione, la metafisica non ha le caratteristiche della scienza; non ha
conoscenze universali e necessarie, non può usare i giudizi sintetici a priori.
Le idee della ragione non hanno uso costitutivo ma regolativo, cioè sono la
regola ideale alla quale mirare (conoscenze sempre più complete) che però non è
possibile raggiungere. Gli interrogativi metafisici sono quindi insolubili.
LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Tema della morale, già affrontato ne"La fondazione della metafisica dei
costumi" opera di morale, etica.La ragion pratica è volta la prassi,
possibilità e limiti della ragione nell'istruire i comportamen-ti morali.
ANALITICA : la ragione non è solo uno strumento conoscitivo, ma anche
razionale. La morale non nasce da elementi soggettivi o finalistici (l'utile)
ma scaturisce dalla ragione. La morale riguar-da la natura umana (un animale,
invece, segue l'istinto della propria razza, non ha colpe, né meriti, né
responsabilità). L'uomo è dotato di volontà, della facoltà di scegliere i propri
comportamenti, non è determinato meccanicamente, non è sovrannaturale (creatura
angelica), orientato solo verso il bene. Sceglie tra il bene e il male, la
scelta del bene però può costare sacrifici: è appunto un essere morale. La
scelta morale è la scelta in cui la volontà segue la ragione (volontà morale //
scelta ra-zionale). La ragione non è l'unico fondamento delle scelte umane, ma
l'uomo può seguire anche i-stintivamente, irrazionalmente, in base
all'abitudine e ai pregiudizi. La scelta è sempre universale e necessaria: è
sempre soggettiva, propria di un'unica persona (ognuno è diverso dall'altro);
tutti i soggetti hanno una ragione (strumento comune a tutti). La ragione è
capace di scelte morali: K. vuo-le riportare l'uomo a comportamenti conformi alla
sua volontà. La morale è a priori, è nell'uomo perché è nella ragione umana; è
autonoma perché non è mai imposta dall'esterno, ma deriva dall'individuo
stesso. La legge morale a priori c'è sempre e corrisponde alla ragione.
Per K. è possibile obbedire alla propria ragione: ogni uomo può sottrarsi al
determinismo dei fattori esteriori. La scelta morale è alla portata di ogni
uomo, autonoma (dal greco: legge a se stessa, nel soggetto). K. distingue
moralità e legalità. La legalità riguarda la forma dell'azione: mi uniformo
alla legge esteriore (non rubo per non andare in prigione; il mio comportamento
rientra nella legali-tà); la moralità sta nel contenuto e non nella forma, sta
nell'intenzione, nel perché: sono morale quando decido di esserlo semplicemente
per comportarmi da essere morale, per obbedire alla parte migliore di me
stesso. Se mi adeguo alle norme solo per calcolo, paura, timore, ambizione,
senso del conformismo, questi mi mettono nella legalità [adesione alla forma
esteriore ma non alla morali-tà]. La moralità rende l'uomo libero quindi ha la
capacità di sottrarsi a tutti quei fattori esterni e di obbedire a se stesso.
Per K. però la moralità è sempre una lotta: l'uomo non è naturalmente tesso
al-la moralità, perché l'uomo è un essere complesso, dotato non solo di
ragione. Per questo la scelta morale è difficile, è più semplice e facile
seguire l'istinto o il compromesso. Nell'antichità, felicità e morale
coincidevano: K. invece afferma che spesso accade il contrario. A volte si
sacrifica la felici-tà in nome della moralità o il contrario. Spesso l'uomo si
trova di fronte a un bivio: ragione/istinto, compromesso; questa scelta morale
è sempre un imperativo, perché questa idea di legge corrisponde alla lotta
interiore dell'uomo.
Se non sceglie la moralità, l'uomo è consapevole di mentire, quando mente. La
massima: scelta del-la mia volontà, il soggetto è individuale. Anche gli
imperativi sono di due tipi: ipotetico e categori-co. L'imperativo ipotetico si
formula su delle ipotesi (studio se voglio essere promosso, studio per un fine,
per raggiungere qualcosa). Ciò significa fare dei calcoli su cosa è meglio o
non fare. Da qui non nasce la moralità ma la legalità.
Imperativo categorico: è la moralità "il dovere per il dovere", faccio questo
non per un fine ma per-ché penso di doverlo fare, perché lo dice la mia
ragione, perché è razionale. Viene da dentro di me. La morale è autonoma,
dell'intenzione. E' la forma che sancisce la moralità.
3 esempi di imperativo categorico dove si presenta la forma della moralità:
LA PRIMA FORMULA DELL'IMPERATIVO CATEGORICO: quando fai una scelta ti dai una
massima; fai quello che chiunque altro farebbe (universale). Se uno segue i
suoi interessi particolari ognuno si comporta diversamente, ma se si decide di
essere morali ogni uomo è uguale (come Rousseau). La morale è universale,
l'individualismo si coniuga con l'universalismo.
LA SECONDA FORMULA: L'UOMO COME FINE: una persona non è mai uno strumento, non
è mai usata, ma una persona è un fine. L'atteggiamento per il quale viene data
la forma e non il con-tenuto; questo vale anche per se stessi: non si è delle
cose, bisogna salvaguardarsi, non si è un mez-zo. La persona è un ente morale
(condanna della schiavitù).
LA TERZA FORMULA: L'AUTONOMIA DELLA RAGION PRATICA: è la volontà che dà la
legge ad ogni uomo. La volontà dovrebbe istituire una legislazione universale
che tutti dovrebbero seguire. E' categorica e non subordinata; è universale,
necessaria e pura. Per K. tutte le morali pre-cedenti sono morali eteronome:
nel fattore religioso, ad es., l'ateo non era morale, mentre per K. sì poiché
la moralità deriva dalla ragione. Per K. tutti possono essere morali in tutte
le circostanze. Le morali precedenti sono condizionate dal raggiungimento di
qualcosa d'altro: la felicità, l'utile. Per K. no perché è la ragione.
Per le morali contemporanee (illuminismo inglese) la morale è un fattore
sentimentale (simpatia);: per K. nessun sentimento è alla base della morale
perché è la ragione. C'è un unico sentimento che ha a che fare con la morale:
il rispetto per se stessi e per gli altri.
DIALETTICA: riprende il tema della metafisica: vuole vedere dal punto di vista
della vita morale se si può attribuire qualche valore all'ambito della
metafisica, che non è scienza. K. affronta 3 po-stulati che la metafisica non
può affrontare.
LIBERTA': causa/effetto o causa libera capace di organizzare liberamente
(antinomia). Nella natu-ra fenomenica tutto è organizzato in causa/effetto, ma
nell'ambito del noumeno? Se si vuole parlare di moralità, l'uomo deve essere
libero perché bisogna postulare la libertà umana. Postulato: afferma che non si
può dimostrare ma serve per dimostrare qualcosa d'altro. La ragione è capace di
essere libera, altrimenti la libertà non esiste. Nell'uomo quindi c'è una componente
meccanicistica (cau-sa/effetto) però postula che la ragione umana sia libera:
l'uomo è responsabile moralmente perché può scegliere il bene o il male. Dunque
è responsabile delle proprie scelte.
L'IMMORTALITA' DELL'ANIMA/ESISTENZA DI DIO: si chiede se possono essere morali:
sono due postulati. Riprende il rapporto virtù/felicità: per K. sono 2
variabili indipendenti. L'uomo è una creatura naturale, ha un'aspettativa dalla
felicità. TUTTI DESIDERANO ESSERE FELICI, OLTRE CHE ESSERE VIRTUOSI. La ragione
tende alla virtù (comportamento morale), ma desi-dera essere felice. L'unione
tra virtù e felicità è l'ideale mirato tra ogni uomo. Però, per K., virtù e
felicità sono distinte: non basta essere felici per essere virtuosi, come
credevano gli epicurei, ma la virtù è molto di più. La morale è sacrificio,
spesso si deve rinunciare alla felicità. Quello che non è possibile in questa
vita, l'uomo spera di raggiungerlo nella vita dopo la morte: egli spera che
l'anima sia immortale e che ci sia un Dio; che i nostri comportamenti siano
giudicati a un livello superiore di quello terreno. Per K. la serenità non
esiste nella vita terrena. Nella sua esistenza l'uomo può mirare al bene senza
mai raggiungerlo. Quindi c'è la costruzione di una morale rigoro-sa, che riesce
ad essere una scelta razionale indipendentemente dai comportamenti esterni, ma
è l'uomo stesso che istituisce le proprie leggi universali e necessarie. L'uomo
non sa se ci sia un Dio ma spera nella sua esistenza e lo stesso vale per
l'immortalità dell'anima. Questo è un interrogativo della metafisica che
affianca la vita morale.
Nelle 2 critiche non ci sono contraddizioni ma elementi differenti: per K. la
critica della ragion pra-tica è superiore a quella della ragion pura.
LA CRITICA DEL GIUDIZIO
Nella critica della ragion pura il giudizio era soggetto + predicato, di tipo
conoscitivo; qui invece il significato cambia: IL GIUDIZIO E' RIFLETTENTE
(DETERMINANTE QUELLO DELLA RAGION PURA, OPERATO DALL'INTELLETTO). Non ha scopo
conoscitivo, ma è una rifles-sione circa gli oggetti che non mira a conoscere,
a riflettere a livello sentimentale. K. mette il senti-mento come facoltà
dell'uomo accanto alla conoscenza e alla volontà. E' un fatto nuovo che inizia
a chiarire come mai i romantici abbiano letto molto interessati questa critica.
La critica della ragion pura e quella della ragion pratica avevano raggiunto
risultati diversi sul meccanicismo, anche se non contraddittori. Per la prima
la natura era fenomenica (come appare all'uomo), con leggi cau-sa/effetto e
dove non c'è la libertà, mentre per la seconda c'è almeno un essere nella
natura per il quale il meccanicismo non vale: l'uomo perché è libero e si
sceglie un fine. K. nella critica del giu-dizio vuole vedere se si può
conciliare natura e libertà: se ad uno sguardo sentimentale la natura possa
apparire come libera e non in visione meccanicistica. Il giudizio riflettente è
di 2 tipi: il giudi-zio estetico e quello teologico. Essi sono sentimentali,
non hanno un significato conoscitivo, non ci sono valutazioni morali: sono
autonomi.
IL GIUDIZIO ESTETICO: GIUDIZIO SUL BELLO, SULL'ARTE E SUL GUSTO. Il bello non
ha niente a che fare con la conoscenza: è fuori dei canoni e dalle regole, non
obbedisce alle norme (comincia ad affacciarsi la nuova estetica romantica).
L'arte che ha come fine la bellezza è libertà di espressione dell'artista,
libera da canoni e norme sia nel momento della fruizione sia della
rappre-sentazione artistica. Bello è ciò che piace, senza concetto.
Universalmente un aggettivo euristico è bello per tutti. Il bello non coincide
con il piacevole perché non ha a che fare con valutazioni di tipo morale.
L'arte è il prodotto del genio: il vero genio ha dentro l'ispirazione, non
imita ma semmai viene imitato,; non va a scuola ma fa scuola.
ESTETICA DEL SUBLIME: K. legge E. Burke, il concetto di sublime. Per K. bello e
sublime sono di-versi: bello è ciò che immediatamente mi piace, causa in me
subito piacere; sublime è ciò che ad un tempo mi spaventa, mi atterrisce, mi
annichilisce. E' uno spettacolo immensamente grande e poten-te (l'oceano, un
vulcano in eruzione, ....). Subito provo smarrimento perché mi sento
immensamente piccolo, fragile. Dopo però esulto, perché provoca in me un
piacere indiretto: nella mia piccolezza, dunque, sono comunque capace di
provare piacere, grazie alla ragione.
IL GIUDIZIO TEOLOGICO: TELOS = FINE, SCOPO.
La natura si può guardare anche sentimentalmente, ogni ente naturale sembra
essere al suo posto:c'è una grande armonia finalizzata alla continuazione della
vita nell'universo.Tutto ha un fine (rapporto finalistico vs meccanicismo).
Tutto l'universo è finalizzato ad un unico ente che è l'uomo
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