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LA PATRISTICA - LA SCOLASTICA - ANSELMO D'AOSTA: FEDE E RAGIONE

filosofia



LA PATRISTICA


Quando il Cristianesimo, per difendersi dagli attacchi polemici e dalle persecuzioni, nonché per garantire la propria unità contro sbandamenti ed errori, dovette venire in chiaro dei propri presupposti teoretici e organizzarsi in un sistema di dottrine, si presentò come l'espressione completa e definitiva della verità che la filosofia greca aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il Cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con la filosofia greca ed a porsi come l'ultima e più compiuta manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con l'unità della ragione (logos), che Dio ha creata identica in tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione cristiana ha dato l'ultimo e più sicuro fondamento; e con ciò affermò implicitamente l'unità della filosofia e della religione. Questa unità non è un problema per gli scrittori cristiani dei primi secoli: è piuttosto un presupposto, che guida e sorregge tutta la loro ricerca. Era naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un lato di interpretare il Cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca e così di riportarlo a tale filosofia, dall'altro di ricondurre il significato di quest'ultima allo stesso Cristianesimo.



In questa stessa elaborazione i Padri della Chiesa furono frequentemente aiutati e ispirati, com'era inevitabile, dalle dottrine delle grandi scuole filosofiche pagane. Il periodo di questa elaborazione dottrinale è la Patristica. Padri della Chiesa sono gli scrittori cristiani dell'antichità, che hanno contribuito all'elaborazione dottrinale del Cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria dalla Chiesa. Il periodo dei Padri della Chiesa si può considerare chiuso con la morte di Giovanni Damasceno per la Chiesa greca (754 circa) e con quella di Beda il Venerabile (735) per la Chiesa latina. Questo periodo può essere distinto in tre parti. La prima, che va sino al 200 circa, è dedicata alla difesa del Cristianesimo contro i suoi avversari pagani e gnostici. La seconda, che va dal 200 sino al 450 circa, è dedicata alla formulazione delle credenze cristiane. L'ultima che va dal 450 sino alla fine della Patristica è contrassegnata dalla rielaborazione e sistemazione delle do 323d38d ttrine già formulate.


LA SCOLASTICA


La parola scolastica designa la filosofia cristiana del Medioevo. Il nome scholasticus indicò nei primi secoli del Medioevo l'insegnante delle arti liberali, cioè di quelle discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica o dialettica, e retorica) e il quadrivio (geometria. aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò scholasticus anche il docente di filosofia o di teologia, il cui titolo ufficiale era magister e che teneva le sue lezioni dapprima nella scuola del chiostro o della cattedrale, poi nell'università. L'origine e lo sviluppo della Scolastica si collegano strettamente alla funzione dell'insegnamento, funzione che determinò anche la forma e il metodo dell'attività letteraria degli scrittori scolastici. La connessione della Scolastica con la funzione dell'insegnamento non è un fatto semplicemente accidentale, ma fa parte della natura stessa della Scolastica. Ogni filosofia è determinata nella sua natura dal problema che costituisce il centro della sua ricerca; ed il problema della Scolastica era quello di portare l'uomo alla comprensione della verità rivelata. Ora questo era un problema di scuola, cioè di educazione: il problema della formazione dei chierici. La coincidenza tipica e totale del problema speculativo e del problema educativo giustifica pienamente il nome della filosofia medievale e ne spiega i tratti fondamentali. In primo luogo, la Scolastica non è, come la filosofia greca, una ricerca autonoma che affermi la propria indipendenza critica di fronte ad ogni tradizione. La tradizione religiosa è, per essa, il fondamento e la norma della ricerca. La verità è stata rivelata all'uomo attraverso le Sacre Scritture, attraverso le definizioni dogmatiche che la comunità cristiana ha posto a fondamento della sua vita storica, attraverso i padri e i dottori ispirati o illuminati da Dio. Per l'uomo, si tratta soltanto di accedere a questa verità, di comprenderla, per quanto è possibile, mediante i poteri naturali e con l'aiuto della grazia divina, e di farla propria per assumerla a fondamento della propria vita religiosa. Ma anche in questo compito, che è quello proprio della ricerca filosofica, l'uomo non può e non deve essere affidato alle sole sue forze; anche in esso, lo aiuta e deve aiutarlo la tradizione religiosa fornendogli, attraverso gli organi della Chiesa, una guida illuminatrice e una garanzia contro l'errore. Si tratta quindi di un'opera comune più che individuale, di un'opera nella quale l'individuo singolo non può e non deve affidarsi soltanto alle sue forze, ma può e deve ricorrere all'aiuto degli altri e specialmente di quelli che la Chiesa stessa riconosce particolarmente ispirati e sorretti dalla grazia divina. Di qui l'uso costante delle auctoritates nella speculazione. Auctorìtas è la decisione di un concilio, un detto biblico, una sententia di un Padre della Chiesa. Il ricorso all'autorità è la manifestazione tipica del carattere comune e superindividuale della ricerca scolastica, nella quale il singolo vuole continuamente sentirsi appoggiato e sorretto dall'autorità e dalla tradizione ecclesiastica. Di qui deriva l'altro carattere fondamentale della ricerca scolastica. Essa non si propone di formulare ex novo dottrine e concetti. II suo scopo è quello di intendere la verità già data nella rivelazione, non quella di trovare la verità. Perciò, come assume dalla tradizione religiosa la norma della ricerca, così assume dalla tradizione filosofica gli strumenti e il materiale della ricerca stessa: prima la dottrina platonico-agostiniana, poi quella aristotelica le forniscono gli strumenti e il materiale della speculazione. La filosofia, come tale, è dunque per essa soltanto un mezzo: ancilla theologiae. Naturalmente, le dottrine e i concetti che vengono adoperati per questo scopo subiscono una trasformazione più o meno radicale del loro significalo originario. Ma la Scolastica non si propone intenzionalmente questa trasformazione e il più delle volte non ne ha neppure coscienza. Il senso della storicità le è estraneo. Dottrine e concetti vengono tolti di peso dai complessi storici di cui fanno parte e considerati indipendenti dai problemi cui rispondono e dalla personalità autentica del filosofo che li ha elaborali. Il Medioevo mette tutto sullo stesso piano e fa dei filosofi più lontani dalla sua mentalità altrettanti contemporanei, cui è lecito togliere i fratti più caratteristi ci per adattarli alle proprie esigenze.

Il problema dominante dalla Scolastica è quello del rapporto tra ragione e fede sul quale si basa la periodizzazione della stessa Scolastica, fondata sul diverso modo di risolvere tale problema. La periodizzazione tradizionale distingue quattro fasi della Scolastica. La prima, detta pre-scolastica, è quella della rinascenza carolingia, nella quale è presupposta e ammessa senz'altro l'identità di ragione e fede. Nella seconda, detta alta Scolastica, che va dalla metà dell'XI alla fine del XII secolo, il problema del rapporto tra ragione e fede comincia ad affacciarsi e ad essere posto chiaramente sulla base della potenziale antitesi dei due termini. Nella terza che va dal 1200 ai primi anni del '300, si hanno i grandi sistemi scolastici che costituiscono ciò che si dice la fioritura della Scolastica. In tale periodo, ragione e fede, pur essendo distinte fra di loro, vengono concepite come armonicamente conducenti agli stessi risultati. Nella quarta, che comprende il XIV secolo, si ha il dissolvimento della Scolastica per la riconosciuta insolubilità del problema che ne è a fondamento, in quanto si ritiene che ragione e fede siano domini Tuttavia, conclusa come periodo storico, la Scolastica rimane armale per esprimere l'esigenza per l'uomo che vive in una tradizione religiosa, di intendere e giustificare razionalmente questa tradizione. Questa esigenza si ripresenta frequentemente nella storia della filosofia.


ANSELMO D'AOSTA: FEDE E RAGIONE


Anselmo, pur insistendo sulla superiorità indiscutibile della fede, non ritiene possibile un contrasto tra essa e la ragione. Le sue opere principali sono: il Monogion o Soliloquio e il Proslogìon o Discorso rivolto ad altri. Il motto di Anselmo è credo ut intelligam (= credo per capire). Non si può intendere nulla se non si ha fede; ma occorre confermare e dimostrare la fede con motivi razionali. Anselmo ritiene l'accordo tra la ragione e la fede intrinseco ed essenziale. Certo, se un contrasto ci fosse, bisognerebbe dar torto alla ragione e rimaner fermi alla fede; ma Anselmo è intimamente persuaso che un tele contrasto non ci può essere, perché anche la ragione, come la fede, La verità fondamentale della religione, l'esistenza di Dio, è secondo Anselmo una pura verità di ragione: la ragione può dimostrarla con le sole sue forze. Nel Monologion Ansehno la dimostra con l'argomento dei gradi. Vi sono molte cose buone nel mondo, ma tutte sono buone più o meno, non assolutamente; presuppongono dunque un bene assoluto che sia la loro misura e dal quale esse traggano il grado di bontà che posseggono; e questo Bene assoluto è Dio. Lo stesso ragionamento si può fare per ogni valore o perfezione esistente nel mondo. II Proslogion ricorre a un'argomentazione (prova ontologica) che muove dal semplice concetto di Dio per giungere a dimostrare l'esistenza di Dio. L'argomento è diretto contro chi nega risolutamente tale esistenza, come fa lo sciocco del XIII Salmo: che disse in cuor suo: Dio non c'è. Evidentemente, anche chi nega l'esistenza di Dio deve avere il concetto di Dio, giacché è impossibile negare la realtà di qualcosa che non si pensa neppure. Ora il concetto di Dio è il concetto di un essere "di cui non si può pensare nulla di maggiore" (quo maius cogitati nequìt). Ma ciò dì cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel solo intelletto. Se fosse nel solo intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche in realtà e cioè che fosse maggiore; ma in tal caso ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore sarebbe anche ciò di cui si può pensare qualcosa di maggiore. È impossibile dunque  che ciò di cui non si può pensare nulla dì maggiore esista nel solo intelletto e non nella realtà. L'argomento si fonda su due punti: I) ciò che esiste in realtà è -maggiore", cioè più perfetto, di ciò che esiste solo nell'intelletto; 2) negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista in realtà, significa contraddirsi perché significa ammettere nello stesso tempo che si può pensarlo maggiore, cioè esistente in realtà.


L'ARGOMENTO ONTOLOGICO NELLA STORIA DEL PENSIERO


L'argomento ontologico dell'esistenza di Dio è stato  rifiutato dalla maggioranza dei filosofi, anche se non è mancato un nutrito drappello di pensatori, talora illustri, che lo hanno difeso ed accettato.

Già un contemporaneo di Anselmo, il monaco Gaunilone, oppose sostanzialmente che, anche ammesso che si abbia il concetto di Dio come di un essere perfetto, da questo concetto non può dedursi l'esistenza di Dio, più che non possa dedursi dal concetto di un'isola perfetta la realtà di quest'isola. Anselmo replicò dicendo, sostanzialmente che l'idea dell'isola non coincide con l'idea della perfezione assoluta, che risiede unicamente nell'idea di Dio. In realtà, nella sua risposta, S. Anselmo svicola di fatto il problema, non rendendosi conto che l'obiezione sollevata da Gaunilone è molto più profonda, fi-losoficamente parlando, dì quanto possa sembrare a prima vista. Infatti Gaunilone ha voluto dire che un conto è il piano del pensiero e delle possibilità logiche e un conto è il piano della realtà effettiva, per cui dalla possibilità concettuale dell'esistenza di Dio non deriva, per ciò stesso, la sua realtà. Grandi filosofi come S. Tommaso e Kant svolgono fondamentalmente le intuizioni di Gaunilone. Ad esempio Tommaso sostiene che l'argomentazione anselmiana è valida solo a patto di presupporre già, -sottobanco", quello che vuole dimostrare, cioè che il Perfettissimo esista - dopo di che essa può ben dire, a ragione, che il Perfettissimo non può fare a meno di esistere. Ma il problema non è di sapere se l'essere perfettissimo, in quanto tale, non possa fare a meno di esistere, ma di sapere se esso realmente esista. Anche Kant rifiuterà l'argomento ontologico, ritenendolo o tautologico, in quanto presuppone già l'esistenza di Dio, oppure impossibile, in quanto fondato sulla pretesa di derivare, mediante una specie di "salto mortale" metafisico, una realtà da un'idea. Come si è accennato, alla linea Tommaso-Kant si contrappone un altro filone critico favorevole alla prova. Nel Medioevo essa è stata accettata da parecchi dottori (Enrico di Gand, Alberto Magno, Bonaventura ecc). Nel mondo moderno è stata accolta ad esempio da Cartesio, Spinoza e Leibniz e, dopo Kant, da Hegel.


UMANESIMO E RINASCIMENTO


COORDINATE STORICHE GENERALI

La nascita del rinascimento nel 400/500 coincide con alcuni importanti avvenimenti storici come le scoperte geografiche, l'invenzione della stampa e l'ascesa sociale della borghesia mercantile.


TRASFORMAZIONE SOCIALI, CULTURA MEDIEVALE E CULTURA RINASCIMENTALE

Nella nuova civiltà urbano - borghese si creano le condizioni che favoriscono la nascita e la diffusione della nuova cultura. Questo tipo di società è diversa da quella aristocratica - feudale del medioevo perché vi è una mentalità più aperta dovuta anche all'apertura dell'economia. Da prima umanesimo e rinascimento erano tutto un unico concetto che indicava il movimento culturale fiorito in italia nel 400 e diffuso in europa nel 500 segnando un rinnovamento della letteratura, dell'arte, della filosofia e della scienza, ma poi si giunse a definire l'umanesimo come parte integrante del rinascimento. Si tratta di una fase di rinascita sia dal punto di vista spirituale sia come rinnovamento complessivo dell'uomo, rispetto a dio, rispetto agli altri uomini e al mondo intero, portando quindi a una nuova immagine dell'uomo.


LA VISIONE RINASCIMENTALE DELL'UOMO


L'UOMO COME ARTEFICE DI SE' STESSO

La frattura con il medioevo risulta evidente perché mentre nel medioevo l'uomo faceva parte di un ordine cosmico già dato, nel rinascimento l'uomo diventa artefice del proprio destino. Già con la scolastica l'uomo rivendicava un'autonomia della ragione, ma nell'umanesimo questa autonomia è riconosciuta al punto tale che la ragione diventa lo strumento primario per la realizzazione del proprio destino.


L'UOMO E DIO

Viene inoltre riconosciuta nell'uomo l'immagine e il riflesso della potenza creatrice di dio. Vi è una perfetta coesistenza tra uomo o dio. L'uomo è creatura e creazione. Dio crea un mondo per poi lasciarlo nelle mani degli uomini che diventano così artefici dei loro destini perché plasmano il mondo in base alle loro esigenze. Ciò non vuol dire che il rinascimento sia prevalentemente antropocentrico(=uomo al centro) e il medioevo sia teocentrico (=religione al centro); ma  di certo ora non è più dio e l'uomo sulla periferia ma è il contrario.


L'UOMO E LA LIBERTA'

L'uomo è tuttavia artefice del suo destino quando agisce liberamente e virtuosamente però la libertà è vincolata dalla fortuna(l'uomo è tuttavia consapevole di essere condizionato da forze reali, causali e soprannaturali. Accanto all'esaltazione della libertà vi sono le dispute sulla fortuna, caso e provvidenza. Finché l'uomo vincerà il caso saremo ancora nel rinascimento, quando l'uomo sarà dominato dalle forze esterne, sarà iniziata la crisi e il declino).


IL RIFIUTO DELL'ASCETISMO MEDIEVALE

L'uomo non è ospite della terra, ma profondamente radicato in essa. Da ciò l'esaltazione della felicità intesa come realizzazione armonica delle possibilità umane e il riconoscimento del denaro come elemento indispensabile alla vita dell'individuo.


PROSPETTIVA STORICA E STORIA DEL RINASCIMENTO

Nell'umanesimo nasce anche l'esigenza della dimensione storica degli eventi. Nel medioevo ogni dottrina veniva presa in considerazione senza essere inquadrata in un contesto storico di riferimento. Si verifica quindi una sorta di superamento dell'a - storicità medievale e viene dunque scoperta la prospettiva storica. La necessità di riportare i testi alla loro originalità porta alla nascita dell'attività filologica, che ha il compito di difendere la lingua originale contro le deformazioni subite nel corso degli anni a venire. L'umanesimo ha avviato un compito di restaurazione storica, lasciandolo in eredità alla cultura moderna. La riconquista del senso storico fa maturare in alcuni filosofi la dottrina secondo la quale gli uomini del presente risultano superiori per esperienza e capacità agli uomini del passato e da qui deriva il detto: "la verità è figlia del tempo" ("veritas filia temporis").

Un aspetto fondamentale della filosofia rinascimentale è il:

Naturalismo rinascimentale, termine con il quale si intende che:

I.     L'uomo non è ospite della natura, ma un essere naturale che ha nella natura la sua patria;

II.       La natura non è l'ombra sbiadita di un mondo ideale, ma una realtà piena di forze vitali;

III.     L'uomo è un essere naturale e in quanto tale ha le capacità per studiare la natura.


RINASCIMENTO E NATURALISMO


L'INTERESSE PER LA NATURA

L'interesse della natura inizia ad essere fondamentale negli studi filosofici. La natura rispecchia il macrocosmo mentre l'uomo, che di essa fa parte, il microcosmo. Nella filosofia del 500 si possono distinguere due aspetti fondamentali collegati all'indagine naturale: la magia e la filosofia della natura.  

La magia afferma che la natura è animata e su di essa agiscono forze simile a quelle agenti sull'uomo. Questo porta a una simpatia universale, cioè a provare sentimenti comuni. Questa simpatia universale ci permette di forzare la natura non con ricerche lente ma ricorrendo a delle scorciatoie come se si trattasse di un essere animato. Se vi è sia la simpatia universale sia la possibilità di ricorrere a scorciatoie si possono cercare formule o procedimenti che diano un potere illimitato;

La filosofia naturale (Telesio, Campanella, Bruno), afferma che la natura va studiata secondo i propri principi. L'uomo non deve più imporre le sue leggi ma deve comprendere la natura con la natura poiché le si comanda obbedendola. Ciò apre la strada alla rivoluzione scientifica.


TELESIO


Chiaro esempio di filosofia naturale è Telesio, che considera la natura come un mondo a sé, che si regge su principi propri e può essere spiegato solo in base a questi,escludendo ogni somiglianza al mondo della metafisica. La natura secondo Telesio va studiata in maniera oggettiva e viene considera perfettamente autonoma. La conoscenza è affidata ai sensi e quindi l'uomo è un essere naturale perché dotato di sensi e così la sensibilità diventa l'auto rivelazione della natura nell'uomo. Telesio ritiene che la natura debba essere spiegata tramite due forze:

il caldo: il caldo ha sede nel sole,dilata le cose e le rende leggere al movimento;

il freddo:il freddo ha sede nella terra,condensa la cose le rende pesanti e quindi immobili.

Entrambe le forze devo agire su una massa.


GIORDANO BRUNO


Nato nel 1548 a Nola, entrò da giovane nel convento dei domenicani. Ebbe notevoli problemi all'interno del convento perché era un ribelle. Lascia poi l'abito domenicano perché viene cacciato. Era un eclettico, cioè una persona dotata di conoscenze varie su molti campi.

Cresce in un chiostro e appare come un ragazzo prodigio che però odia il sapere autoritario del chiostro, e va contro i pedanti (come i grammatici e gli aristotelici) ma soprattutto si schiera contro chi viene a contatto con la cultura attraverso i libri. Forte è in Bruno l'amore per la vita che sfocia poi in un fortissimo interesse per la natura e questo suo amore per la vita determina in funzione antiautoritaria uno scontro con la Chiesa(chiostro); per Bruno la natura è tutta viva, tutta animata, e nell'intendere questa animazione universale pose il termine più alto del suo filosofare. la predilezione per la magia, che si fonda sul presupposto del pampsichismo universale, e per la mnemotecnica, tecnica della memoria, porta Bruno a conquistare d'assalto la natura diversamente dal naturalismo di Telesio. Il suo amore per la vita gli fa descrivere la decadenza (trivialità) di Napoli e della cultura. Il naturalismo di Bruno è stato anche definito sia panteistico poiché in tutto e quindi nella natura e nelle sue cose si manifesta Dio, sia come una religione della natura. Una volta che Bruno giunge a dire che la natura è completamente animata e che l'universo è infinito il fine ultimo della filosofia diventa conoscere la natura.

Bruno scrisse le sue dottrine in volgare, e nel periodo della stampa in cui la cultura aveva rifiutato il volgare in onore del latino, l'opera di Bruno era malvista. Bruno è stato spesso visto dai clericali quasi come un Anticristo. Occorre dire che Bruno criticò la Chiesa e il clero del suo tempo, scardinò molti dei dogmi dei cristianesimo, ma non fu maestro di irreligiosità. Per il filosofo la religione è una "santa asinità", un insieme di superstizioni, di dogmi, contrari all'uso della ragione poiché studiano attraverso la fede. Per questo è superiore la filosofia che si propone come scopo la ricerca della verità. Non se la prende solo contro la religione ufficiale ma anche contro quelle riformate, quelle che affermano che la salvezza non si ottiene con le opere. Egli critica di queste religioni il fatto che vanno contro la vita terrena, sono cioè contro la religione della natura, che equivale alla filosofia stessa. Bruno afferma anche che noi siamo più anziani rispetto ai filosofi antichi perché partiamo dalle dottrine dei filosofia precedenti per migliorare la nostra conoscenza e riprende in un certo senso il concetto di "Veritas filia temporis".

Per Giordano Bruno c'erano due concezioni di Dio:

mens super omnia (= mente sopra le cose)--> Dio è trascendente ( sta sopra) e in quanto tale non lo si può conoscere o se anche lo si conoscesse si può solo attraverso la rivelazione o con la fede;

mens insita omnibus (= mente dentro le cose)--> Dio diventa l'anima mobile. È l'intelletto universale cioè l'insieme di tutte le idee o forme e plasma la materia dal di dentro. Questo mostra la differenza con Platone, con il quale si plasmava dal di fuori.

In un libro Bruno definisce Dio come causa (perché è l'energia produttrice delle cose) e principio (cioè l'elemento costitutivo delle cose) e questa definizione rientra nel panteismo (tutto è Dio). Da questo deriva anche la visione di un universo costituito da un'unica forma e un unica materia. Ma Bruno, che non sopporta il concetto di limite, vede l'universo come un qualcosa di infinito a differenza di Aristotele. La forma che è l'intelletto universale plasma la materia, la quale è un sostrato che ha in se le forme. In realtà materia e forma non sono tra loro separati (mente-corpo) ma sono la stessa cosa. Essi sono separati astrattamente o meglio siamo noi che li separiamo ma in realtà costituiscono una stessa sostanza, la natura. Questo ci riporta ai pre-sofisti e al concetto di sostanza divina.

La natura è per Bruno un fine di conoscenza e vita e questo è spiegato attraverso il mito di Atteone, che va dietro Diana con la speranza di riuscire a vederla nuda ma quando riesce nel suo intento viene trasformato in un cervo, ciò significa che passa da cacciatore (colui che cerca la conoscenza) a preda (si identifica con la natura). Il grado ultimo della filosofia è la visione magica della natura (panteismo). Il filosofo è il furioso che superandosi in modo eroico si immedesima con il tutto. L'atteggiamento etico di Bruno viene riassunto nell'espressione ETICO FURORE, dove furore va inteso come pazzia. Questo consiste nell'accettazione del tutto (libertà) e va contro la morale ascetica e per contro propone un attivismo.




Gli scopi della Patristica sono:

difesa del Cristianesimo da attacchi esterni come le persecuzioni e da eventuali divisioni interne;

formulazione di un sistema di dottrine vero e definitivo al punto tale da diventare la verità che la filosofia greca aveva sino ad allora cercato e solo in parte trovato;

risistemazione delle dottrine.



Il problema dominante dalla Scolastica è quello del rapporto tra ragione e fede sul quale si basa la periodizzazione della stessa Scolastica:

la prima fase è quella della pre-scolastica, periodo storico della rinascenza carolingia, nella quale si sostiene l'identità tra ragione e fede;

la seconda fase è quella della alta Scolastica, dalla metà dell'XI alla fine del XII secolo, nella quale il problema del rapporto tra ragione e fede comincia ad affacciarsi si sostiene che i due termini siano in antitesi;

la terza fase che va dal 1200 ai primi anni del '300,  porta alla fioritura della Scolastica e si sostiene che in tale periodo, ragione e fede, pur essendo distinte fra di loro, conducono agli stessi risultati;

la quarta fase, che comprende il XIV secolo, porta alla dissoluzione della Scolastica perché risulta impossibile risolvere il problema in quanto ragione e fede sono visti come concetti separati.



Quella del Proslogion è una prova detta a priori. Anselmo sostiene che vi è nello spirito di ogni uomo, un'idea, una conoscenza originaria e incancellabile di Dio. Chi nega l'esistenza di Dio si contraddice perché non si può negare senza avere l'idea di ciò che si sta negando. Quindi tutti hanno l'idea di Dio, che è visto da Anselmo come ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore, un qualcosa di perfetto. Ma la perfezione non può essere solo pensata, quindi risiedere nel solo intelletto perché in tal caso si potrebbe trovare qualcosa dotata di maggiore perfezione perché esistente in realtà. Per questo bisogna fissare due principi di partenza ovvero:

I) ciò che esiste in realtà è -maggiore", cioè più perfetto, di ciò che esiste solo nell'intelletto;

2) negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista in realtà, significa contraddirsi perché significa ammettere nello stesso tempo che si può pensarlo maggiore, cioè esistente in realtà.

Ma ad Anselmo si oppose Gaunilone che osservava come si potesse pensare ad un isola perfetta ma non per forza esistente in realtà. A questa obiezione il filosofo rispose dicendo che il concetto di isola perfetta si discosta dall'idea di perfezione assoluta (Dio). Ma in realtà Anselmo aveva solo deviato il problema proposto da Gaunilone, ovvero il distacco che si crea tra il piano del pensiero e quello del reale.



Il rinascimento è come dice la parola stessa una fase di rinascita sotto tutti i punti di vista e ciò porta anche ad una rivalutazione della figura dell'uomo rispetto a Dio e agli altri uomini. La frattura con il medioevo risulta evidente perché mentre prima l'uomo faceva parte di un ordine cosmico già dato, nel rinascimento l'uomo diventa artefice del proprio destino. Già con la scolastica l'uomo rivendicava un'autonomia della ragione, ma nell'umanesimo questa autonomia è riconosciuta al punto tale che la ragione diventa lo strumento primario per la realizzazione del proprio destino. L'uomo è visto come l'immagine della potenza creatrice di Dio, il quale ha creato il mondo per poi lasciarlo nelle mani di ogni singolo individuo, che operando in maniera libera e virtuosa può diventare artefice del proprio destino in quanto modifica il mondo in base alle sue esigenze.



L'interesse della natura inizia ad essere fondamentale negli studi filosofici. La natura rispecchia il macrocosmo mentre l'uomo, che di essa fa parte, il microcosmo. Si possono distinguere due aspetti fondamentali collegati all'indagine naturale e questi sono la magia e la filosofia naturale.  

La magia afferma che la natura è animata e su di essa agiscono forze simili a quelle agenti sull'uomo. Questo porta a una simpatia universale, cioè a provare sentimenti comuni. Questa simpatia universale ci permette di forzare la natura non con ricerche lente ma ricorrendo a delle scorciatoie come se si trattasse di un essere animato vero e proprio. Se vi è sia la simpatia universale sia la possibilità di ricorrere a scorciatoie si possono cercare formule o procedimenti che diano un potere illimitato;

La filosofia naturale (Telesio, Campanella, Bruno), afferma che la natura va studiata secondo i propri principi. L'uomo non deve più imporre le sue leggi ma deve comprendere la natura con la natura poiché le si comanda obbedendola. Ciò apre la strada alla rivoluzione scientifica. Chiaro esempio di filosofia naturale è Telesio, che considera la natura come un mondo a sé, che si regge su principi propri e può essere spiegato solo in base a questi. La natura secondo Telesio va studiata in maniera oggettiva e viene considera perfettamente autonoma. La conoscenza è affidata ai sensi e quindi l'uomo è un essere naturale perché dotato di sensi. La sensibilità diventa invece l'auto rivelazione della natura nell'uomo. Telesio ritiene che la natura debba essere spiegata tramite due forze:

il caldo, che ha sede nel sole,dilata le cose e le rende leggere al movimento;

il freddo,che ha sede nella terra,condensa la cose le rende pesanti e quindi immobili.



Con il termine auctoritas si indica quella fonte di sapere alla quale si appellavano gli individui per far si che essi potessero aiutarli a fare della verità appena conosciuta il modello di vita religiosa al quale ispirarsi. Auctoritas era la Bibbia, le sentenze dei Padri della Chiesa, ma anche autori classici e sistemi filosofici che si consideravano autorevoli. Questo ricorso alle auctoritas dimostra come l'uomo senta l'esigenza di essere supportato dall'autorità e dalla tradizione ecclesiastica.



Per Giordano Bruno c'erano due concezioni di Dio:

mens super omnia (= mente sopra le cose)--> Dio è trascendente e in quanto tale lo si può conoscere solo attraverso la rivelazione o con la fede;

mens insita omnibus (= mente dentro le cose)--> Dio diventa l'anima mobile. È l'intelletto universale cioè l'insieme di tutte le idee o forme e plasma la materia dal di dentro. Questo mostra la differenza con Platone, con il quale si plasmava dal di fuori.

In un libro Bruno definisce Dio come causa (perché è l'energia produttrice delle cose) e principio (cioè l'elemento costitutivo delle cose) e questa definizione rientra nel panteismo (tutto è Dio).



In Giordano Bruno forte è l'amore per la vita che gli rese insopportabile il chiostro anche chiamato Prigione Angusta e Nera. Egli  nutrì un odio per  i cosiddetti pedanti, ovvero gli aristotelici e i grammatici, che facevano della cultura una pura esercitazione libresca.  Dall'amore della vita scaturì,  il suo interesse  per la natura, che Bruno considerò tutta viva e animata; e, nell'intendere questa universale animazione pose il termine più alto del suo filosofare. Da qui la sua predilezione per la magia che si fonda appunto sul  presupposto del "Pampsichismo Universale" e per la tecnica della memoria che lo porta a voler conquistare d'assalto la natura a differenza del naturalismo di Telesio. Il naturalismo di Bruno è in realtà una religione della natura ed è per questo che la religione in generale gli appare ripugnante e assurda, una santa asinità come il filosofo stesso l'ha definita poiché essa è un insieme di superstizioni contrarie alla ragione e alla natura. Bruno condanna anche le religioni riformate poiché non ammettono il valore delle opere buone e quindi un disprezzo per la natura. L'unica religiosità che egli riconosce è lo stesso filosofare e la natura è il termine della religiosità e del filosofare di Bruno.





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