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Mass-media e criminologia
La società
moderna sta vivendo una transizione dall'era industriale a quella digitale.
Tutto sta cambiando: il linguaggio, le forme di comunicazione, i rapporti
interpersonali, le mentalità, i gusti, gli usi, i costumi.
L'era industriale assoggettava la società allo spettacolo,
perché per l'economia il fine è niente, mentre lo sviluppo è tutto e lo
spettacolo, in tale situazione, non vuole riuscire a nient'altro che a se
stesso.
Nella società moderna basata sull'industria lo spettacolo si sottomette agli
uomini viventi nella misura in cui l'economia li ha totalmente sottomessi.
La prima fase del dominio dell'economia sulla vita sociale aveva determinato
nella definizione d'ogni realizzazione umana un'evidente degradazione dell' essere
in avere.
La fase dell'occupazione totale della vita sociale, da parte dei risultati
accumulati dell'economia, aveva poi condotto ad uno slittamento generalizzato
dell' avere nello apparire, da cui ogni "avere" effettivo doveva
trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima. Nello stesso tempo,
ogni realtà individuale diveniva sociale, direttamente dipendente dalla potenza
sociale, modellata da questa. Se le era permesso d'apparire, era soltanto in
ciò che essa non era.
Lo spettacolo si presenta come un'enorme positività indiscutibile e
inaccessibile. Esso non dice niente di più di questo, che <<ciò che
appare è buono, ciò che è buono appare>>.
L'era della digitalizzazione tende a trasformare questo sistema
fondamentalmente in uno più spettacoloso ed esasperato, perché la
si 232j99c mulazione delle immagini, che ci assalgono e c'invadono, tende ad appannare
sempre di più la distinzione tra il virtuale, ciò che appare e non
è, ed il reale, ciò che non appare ma è.
Nella società digitalizzata il mondo reale tende a produrre sempre di
più delle semplici immagini e queste, a loro volta, tendono a divenire degli
esseri reali. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio
all'opposto: la realtà sorge nello e dallo spettacolo e lo spettacolo è reale.
Questa alienazione reciproca è l'essenza e il sostegno della società esistente.
Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso e il
falso un momento del vero.
Nella società digitalizzata la realtà è scissa tra immagine e
finzione. A differenza del passato, non conta più <avere>,
ma solo <apparire> e farlo in ciò che si crede
di <essere>. L'apparire, per sua natura, non sa distinguere
l'<essere> e finisce col far prevalere l'immagine alla cosa, la copia
all'originale, la rappresentazione alla realtà, l'apparenza all'essere...
E' in questo curioso panorama d'inizio del Terzo millennio, che si assiste a
fenomeni spettacolosi. Crollati i muri ed i blocchi e, insieme con essi, i
valori e le ideologie di una volta, il Paese s'arrampica sugli specchi, annaspa
nel vuoto, s'aggrappa al futile, all'effimero ed ad ogni nonnulla. In questa
terra di nessuno s'affollano e prosperano ormai ciarlatani d'ogni risma, sicuri
di trovare il loro bravo pubblico, ansioso di riempire in qualche modo le
proprie nicchie esistenziali desolatamente deserte: maghi, fattucchieri,
cartomanti, chiromanti, santoni, guaritori, veggenti, esploratori del
paranormale, geometri dell'inconscio, maestri di sette religiose e non,
ecc., tutti, ovviamente, espertissimi e preparatissimi. E, come se non
bastasse, ci sta piombando addosso anche una valanga di professionisti
dell'ultima ora, messa in moto da uno dei fenomeni più dilaganti al giorno
d'oggi: la curiosità insaziabile per la notizia, per lo "scoop", per le
comunicazioni di massa intese non come campo di studio, di ricerca e d'analisi,
ma come licenza di sbalordire, di scandalizzare o, magari, di non dire niente
di niente(4). Giornalisti rampanti, politici attori, attori
politici, magistrati soubrette, pubblico ministeri fotomodelli, ecc.,
tutti, alla ricerca della notorietà e del successo attraverso la
spettacolarizzazione del proprio agire professionale.
Accade, allora, che in ogni delitto o crimine, che suscita terrore ed angoscia
nella massa degli spettatori solitari, i mass-media si precipitano sul caso
come si trattasse del festival di Sanremo. Appostamenti di cronisti, reporter e
paparazzi 24 ore su 24 davanti ai posti "chiave" dell'inchiesta. Si comincia
dal capitano dei carabinieri di turno, che conduce le indagini, si passa subito
al Pm ed al capo della Procura, poi al Gip senza nulla trascurare sull'indagato
e via. la spettacolarizzazione della giustizia, sotto i riflettori del cinema
della vita, ha inizio. La caccia morbosa alla ricerca della notizia è aperta;
il teatro della giustizia-spettacolo ha inizio: ogni figura professionale,
incluso l'imputato e la sua famiglia, da figura, appunto, diventa profilo, poi,
se è fotogenico, diventa anche personaggio di se stesso. I mass-media coccolano,
inseguono, alimentano il mito o lo distruggono con uguale cinismo. La regola è
sempre quella antica: è notizia, se l'uomo morde il cane e non viceversa!
La figura dello spettatore della giustizia-spettacolo
La figura dello spettatore della giustizia-spettacolo è
indeterminata. I mass-media che inseguono la notizia a tutti i costi con
morbosità, da una parte; e lo spettatore accanito, che legge pagine intere di
resoconti sui dettagli più stupidi del delitto e della scena ad esso legata,
dall'altra, offrono un quadro tragico-comico, con due facce di una stessa
medaglia.
Avremo allora: lo spettatore che si racconta in prima persona nell'atto di
commentare i fatti legati al delitto (per affermare una sua "verità"
colpevolista o innocentista); poi c'è lo spettatore intellettuale, quello
informato e documentato, che non giudica e non guarda i fatti rappresentati con
occhio frettoloso. La giustizia-spettacolo mescola queste diverse
figure di spettatori offrendo loro una risposta ad ogni domanda.
Ciò nonostante la giustizia spettacolo è anche l'inatteso, il sogno, la
sorpresa, il lirismo, che aiuta a "dimenticare" le fatiche quotidiane spingendo
lo spettatore sulle barricate e nelle avventure.
Il pubblico della giustizia-spettacolo è fatto da un insieme di
spettatori solitari.
Il pubblico della giustizia-spettacolo è un club di spioni
recidivi e feticisti, cultori della regressione, inchiodati allo stadio dello
specchio lacaniano, o ad una relazione oggettuale kleiniana (oggetto-buono,
oggetto-cattivo); ma anche filosofi, dato che dormono mentre sanno di non
dormire, che sognano mentre sanno di non sognare, che s'illudono mentre sanno
di non illudersi, che allucinano quello che vedono in un atteggiamento che è
paradossale
Esattamente come davanti a un film, lo spettatore solitario della giustizia
spettacolo osserva la rappresentazione della realtà senza rendersi conto
che si tratta di una rappresentazione; egli chiama a compimento quella
contraddizione, scoperta dalla psicoanalisi, fra il credere e il non credere,
che è alla base del conflitto fra il principio di piacere e quello di realtà.
Quell'atteggiamento contraddittorio definito da Freud come degenerazione
o negazione che afferma: lo spettatore solitario sa bene che niente di quello
che sta vedendo accade, eppure si commuove, s'inquieta, spera, sogna ad occhi
aperti o s'indigna, protesta, sciopera.
Nello spettatore solitario che si mescola nella massa di adepti che seguono il
loro leader carismatico si produce uno stato semipnotico, d'allucinazione
paradossale: allucinazione poiché lo spettatore solitario (anche se in
mezzo alla massa) tende a confondere due distinti livelli di realtà, che di
norma la percezione ha ben chiari, ma anche paradossale, perché manca di
quel carattere totalmente endogeno caratteristico di ogni allucinazione
propriamente detta. Questo comportamento paradossale, studiato da Freud,
è stato definito il "sogno ad occhi aperti": l'individuo sa bene di non essere
addormentato, ma si comporta come se lo fosse e segue la massa guidata dal
leader.
La personalizzazione della giustizia-spettacolo
Personalizzazione della giustizia-spettacolo significa, che singole
personalità passando da profili a figure, diventano i soggetti del
processo giudiziario, in ogni suo momento: da quello iniziale delle indagini a
quello della gestione effettiva delle prove.
Le singole personalità sono, in questo contesto, contrapposte per un lato, a
soggetti collettivi come i partiti o le altre istituzioni, per l'altro a ogni
configurazione collegiale dell'autorità. Ad incrementare il processo di
personalizzazione della politica contribuiscono fattori quali:
a) la possibilità del sistema elettorale di eleggere
direttamente ogni leader (compreso i giudici, suggerisce qualcuno)
b) la trasformazione delle Costituzioni in Repubbliche democratiche con
sistemi elettorali diretti;
c) la sfiducia dei cittadini verso i partiti
tradizionali, verso le Istituzioni e verso la politica.
Tutto ciò contribuisce a far sì, che il cittadino cerchi di scegliere direttamente
chi vuole lui: dall'amministratore del condominio al medico di famiglia, dal
sarto al giudice, dal tribunale al politico locale, dal governante al capo
dello stato. il che comporta idealmente, che potere e responsabilità
si accentrino in una sola persona.
La giustizia-spettacolo dei professionisti spinge sempre di più verso un
atteggiamento anarcoide dell'uomo solitario ed insofferente verso l'altro;
essa, aumenta il mito dell'egoismo sfrenato e dell'individualismo, con la
conseguenza che si ricomincia a dare la caccia alle streghe.
Una società basata sull'individualismo anarcoide, in cui manca una coesione
sociale e in cui è impossibile una gestione comune, non rappresenta che
l'anticamera della normalizzazione totalitaria e del controllo: dall'individualismo
totale si passa a quello che Jurgen, uno dei teorici del nazismo, definiva come
la dittatura totale: <<La dittatura totale implica un ordine
totale, un'adesione di massa, un comportamento di massa: l'individuo si adegua
alla volontà superiore dello Stato>> (4).
I fattori criminogeni dei mas-media
Chiunque abbia esperienza nella pubblicazione di un proprio articolo su un
giornale, può confermare come quello stesso articolo tra "prima" che venga
pubblicato e "dopo", acquista un certo "plusvalore", una sorta di "magica"
differenza: prima, nessuno, oltre all'autore, lo ha letto; dopo la
pubblicazione, quello scritto "appartiene" ai lettori. Il pubblico o la massa
di lettori si rapporterà ad esso consumando il primo effetto sociale: ogni lettore
può attingere al contenuto (ed alla forma) di quell'articolo per togliere
o aggiungere qualcosa di suo, per poi passarlo ad altri. E' questo effetto di
"passaparola-immagine", che rende "magico" sul nascere il mezzo di
comunicazione di massa; questo è un primo effetto mediatico, che
possiamo meglio definire come "effetto moltiplicatore della notizia",
intendo per notizia: sia le parole scritte e le immagini sia il modo
ed il come sono pubblicate e diffuse in una lunghezza di 8 righe di 50
battute. Questo effetto "moltiplicatore" dei mass-media è criminogeno,
perché crea un'assuefazione alla notizia: la morbosità per chi scrive di
seguitare a farlo andando a caccia dello scoop; la morbosità di chi legge di
esorcizzare la paura inconscia, che quanto legge di criminale o criminoso non
possa mai riguardargli in prima persona. Un secondo effetto
criminogeno dei mass-media è confermato dall'esperienza empirica: i mass-media
non riescono a convincere il pubblico al pari dell'influenza personale. L'opinione
nazionale diffusa dai mass-media, pertanto, arriva agli "opinion leader"
(ossia, ai "capi dell'opinione", a coloro che "contano") i quali
provvedono, poi, con il solo mezzo verbale della comunicazione a trasmetterla
al resto della popolazione o ai personaggi più rappresentativi di essa.
Schematicamente, la genesi dell'opinione nazionale è la seguente: opinione
nazionale (A) -> mass-media (B) -> personaggi "chiave"
(C) -> popolazione (D); ma non viceversa.
L'aspetto criminogeno di questo secondo effetto mediatico (ma ne potremmo
individuare tanti altri) consiste nel fatto, che esso crea l'illusione che i
mass- media non influiscano le nostre idee e scelte, mentre, in realtà, le cose
stanno diversamente. Il condizionamento psicologico dei mass-media verso lo spettatore-massa
e verso il pubblico, non è diretto ed immediato, ma indiretto e mediato,
attraverso i "capi d'opinione", ossia, quelle persone che riteniamo che
"contino" più di noi stessi e verso i quali nutriamo considerevole stima.
L'aspetto criminogeno è che la persuasione sfugge alla nostra mente e pur
alzando la soglia critica del ragionamento nel percepire i messaggi diretti dai
mass-media, siamo inconsapevolmente indifesi verso quelle persone che
"contano", che anche senza volerlo finiscono col farci cambiare opinione o per
farci formare un'opinione che poi difficilmente cambieremo.
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