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Tesina interdisciplinare di:
Simone Ciliani
Mappa Concettuale
Italiano: Il Decadentismo
Per Decadentismo si 717f57h indica quel movimento letterario, nato nell'ambiente parigino alla fine dell'Ottocento, come preciso programma espresso da manifesti e organi di stampa come il periodico "Le Decadent". Il Decadentismo è caratterizzato da un senso di disfacimento e da un'idea di un prossimo crollo, di un imminente cataclisma epocale. Alla base della visione del mondo decadente vi è un irrazionalismo misticheggiante.
Viene radicalmente rifiutata la visione positivista. Il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possono dare la vera conoscenza delle realtà, misteriosa ed enigmatica. L'anima decadente è perciò tesa verso il mistero, l'inconoscibile. Se il mistero della realtà non può esser colto attraverso la ragione, altri sono i mezzi mediante cui il decedente può attingere ad esso. Questi sono tutti gli stati d'alterazione mentale come la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, o stati causati dall'uso di droghe e alcool. Inoltre vi sono altre forme che permettono l'esperienza dell'ignoto: l'annullamento nella vita del gran Tutto, il confondersi nella vibrazione stessa della materia(quest'atteggiamento è stato definito panismo e ricorrerà particolarmente in D'Annunzio).
Tra i momenti privilegiati per i decadenti vi è soprattutto l'arte, suprema illuminazione. Da questo culto religioso dell'arte ha avuto origine il fenomeno dell'estetismo. L'esteta assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali ma il bello. L'arte quindi rifiuta ogni rappresentazione della realtà storica e sociale e diviene arte pura. Tra le tecniche espressive usate dai decadenti bisogna ricordare la musicalità: la parola non vale tanto nel suo significato logico quanto come pura fonicità, per il suo valore evocativo. I decadenti fanno molto uso della metafora, espressione di una visione simbolica del mondo e la sinestesia, fusione di sensazioni.
La malattia è uno dei temi principali del Decadentismo che, se da una parte si pone come metafora di una condizione storia, dall'altro diviene una condizione privilegiata, segno di nobiltà e distinzione. La malattia affascina i decadenti perché rievoca l'immagine della morte, tema dominante e ossessivo. Una voluttà morbosa d'annientamento, un'attrazione irresistibile per il nulla, percorre le pagine della letteratura decadente. Al fascino della malattia e della morte si contrappongono tendenze opposte: il vitalismo, l'esaltazione della pienezza vitale che vede il suo massimo teorico in Nietzsche.
Nascono quindi alcune figure ricorrenti:
L'artista maledetto, che profana tutti i valori e le convenzioni della società;
L'esteta, che vuole trasformare la sua vita in un'opera d'arte;
L'inetto a vivere, che è escluso dalla vita e si rifugia nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustrante;
Il fanciullino, portatore di una visione fresca e ingenua che scopre le cose nella loro vergine essenza.
Il D'Annunzio (Foto Sotto) ha incaricato le tendenze estetizzanti del Decadentismo, esercitando una notevole influenza non solo sulla letteratura, ma anche sul costume della società dell'Italia del tempo.
Il suo estetismo, che pone l'arte in cima alla gerarchia dei valori e che lo porta a fare della sua stessa vita un'opera d'arte (la "vita inimitabile"), è uno dei tanti miti, da leggersi nella chiave di un esasperato individualismo, con cui l'intellettuale borghese reagisce a mutamenti sociali in atto nel nostro Paese, che minacciano il suo prestigio, sottoponendo anche la produzione letteraria alle leggi anonime del mercato, ed i suoi privilegi, con la "massificazione" della società che sembra lentamente "risucchiare" nelle condizioni del proletariato gli strati della piccola e media borghesia.
Il superomismo è il mito successivo, che ingloba lo stesso estetismo. Infatti, il culto del bello è completato dal culto della vita attiva ed eroica, con il vagheggiamento di una nuova "aristocrazia", capace non solo di gusto raffinato, ma di dominare la realtà sociale, esercitando il proprio dominio sulla moltitudine degli uomini comuni e ponendo un argine al "grigio diluvio democratico".
D'Annunzio trasse la dottrina del superuomo della lettura del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, il quale voleva delineare un "nuovo uomo", il cui genio fosse libero dai legami della morale comune. Ma il superuomo dannunziano, che raggiunge la sua completa definizione nella figura di Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo "Le vergini delle rocce", si differenzia da quello nicciano per il suo non volersi collocare oltre l'ambito umano, per l'alternanza del desiderio di emergere e l'impossibilità di farlo.
E' insomma un superuomo che si distingue più che altro per il suo velleitarismo e che, a differenza dell'"Ubermensch" nicciano, resta ben dentro i confini dell'umanità. Il superuomo dannunziano rifiuta sì la morale del gregge, ma, diversamente da quello nicciano, non vuole rappresentare un nuovo anello nella catena dell'esistenza che si collochi oltre l'uomo, come già l'uomo oltre l'animale.
La dottrina del superuomo si rivela essere quindi, nella narrativa dannunziana, funzionale ad un giudizio etico- politico sulla società contemporanea, un giudizio che si caratterizza per il rifiuto della democrazia, dell'uguaglianza, del suffragio popolare, riflesso questo dell'individualismo piccolo borghese che si sviluppa in opposizione al diffondersi della democrazia, al progresso sociale, all'avanzamento delle classi subalterne.
E' evidente che il mito del superuomo è un ulteriore tentativo di reagire alla tendenza, all'emarginazione ed al degrado sociale dell'artista e dell'intellettuale in atto nel mondo moderno.
Il risvolto negativo di questi miti è nel loro supporto a tendenze politiche e culturali reazionarie ed irrazionali, come l'esaltazione della violenza e della guerra e la giustificazione dell'aggressività imperialista e del colonialismo, finendo con il produrre un'arte che si carica d'ambiguità e d'artificio e si mostra eccessiva d'enfasi e di retorica: un'arte che, francamente, oggi appare insopportabile.
Tra i caratteri del Decadentismo che D'Annunzio accoglie, c'è ovviamente la sfida alla scienza, con la reazione netta e risoluta al Positivismo ed al Naturalismo. Lo stesso D'Annunzio si espresse in questi termini: "La scienza è incapace di ripopolare il disertato cielo, di rendere la felicità alle anime in cui ella ha distrutto l'ingenua pace. Non vogliamo più la verità, dateci il sogno. Riposo non avremo se non nelle ombre dell'ignoto".
E' un evidente segno di una crisi delle certezze, che prima il Positivismo aveva alimentato e che ora svaniscono dinanzi alla crescente massificazione della società che sembra schiacciare l'individuo borghese tra l'industrialismo e le regole ferree del mercato, da una parte, e le aspirazioni del proletariato e delle altre classi subalterne dall'altra.
Il culto della bellezza, l'esaltazione dei sensi, il vitalismo, la fede nella potenza della parola, la ricerca della sua musicalità, la concezione dell'arte come forma di conoscenza non razionale ma intuitiva: questi gli aspetti più appariscenti che D'Annunzio accoglie del Decadentismo europeo.
In particolare, la straordinaria abilità poetica consente a D'Annunzio di stimolare richiami nuovi e sorprendenti: la parola poetica diventa voce dell'anima e delle cose, riuscendo a creare un'atmosfera d'incanto, di rapimento, di piena fusione con la natura(panismo).E' evidente, in D'Annunzio, un gusto sensuale della parola che, scelta preferibilmente per i suoi caratteri fonici ed aldilà dei suoi significati concettuali, si carica di allusioni, di musicalità, di suggestioni. Soltanto la parola magica del poeta può cogliere ed esprimere l'armonia segreta della natura.
Al vuoto di ideali e allo smarrimento della borghesia, che si sente anche minacciata dalle richieste di partecipazione che salgono dalle classi subalterne, D'Annunzio reagisce proponendo un'ideologia aristocratica, decisamente antidemocratica, già implicito nel mito dell'esteta e pienamente svelata nel successivo mito del superuomo, ricavato, come detto, dalla filosofia di Nietzsche, ma in realtà adatto alla situazione italiana.
In effetti, il mito del superuomo traduce la solitudine dell'intellettuale borghese nella società che si va massificando sia per la diffusione dell'industrialismo e delle regole del mercato, sia per lo sviluppo della democrazia. Tuttavia questa solitudine non è avvertita, da D'Annunzio con malinconia, ma è salutata come una prerogativa privilegiata e aristocratica; ne deriva, pertanto, l'ambizione dell'intellettuale di porsi al di sopra della massa come punto di riferimento forte e vigoroso, capace anche di dare una giusta indicazione di potenze e di gloria alla propria nazione.
In questo modo il mito del superomismo trova il suo risvolto nel mito della "supernazione". Il protagonismo di D'annunzio fu evidente anche sullo scenario politico: egli, interpretando le esigenze e i sogni della piccola e media borghesia, che cercava di reagire ai processi di massificazione dell'economia e della politica, esaltò nella primavera del 1915 l'interventismo antidemocratico. L'ansia di protagonismo portò il poeta a partecipare come volontario alla guerra e a distinguersi in imprese eroiche insolite.
Successivamente, a guerra finita, alimentò il mito della vittoria mutilata, con cui si cercò, da parte degli ambienti nazionalisti, di manipolare la coscienza della piccola borghesia sui risultati concreti della guerra.
Nel 1919 promosse l'impresa della marcia su Fiume e lo stesso mito superomistico del poeta- eroe, che il D'Annunzio si dedicò a costruire, costituì un supporto per l'affermazione del fascismo. Infatti, questo ultimo fu senz'altro favorito dagli atteggiamenti di esaltazione dell'individualismo, di disprezzo delle regole democratiche e della razionalità in politica. Ma il fascismo seppe anche emarginare politicamente il poeta abruzzese, celebrandolo come "poeta del regime", ma in realtà spogliandolo di ogni concreta funzione politica: il "duce" non poteva ammettere altri protagonisti all'infuori di se stesso.
Il mito del superuomo è senz'altro il punto di arrivo dell'ideologia dannunziana, ma esso è quanto mai rivelatore della possibilità di realizzarsi. E' il mito rivelatore dell'inconsistenza delle aspirazioni della borghesia italiana: il velleitarismo che caratterizza il superuomo dannunziano è, infatti, il riflesso dello scarto fra le illusioni della borghesia italiana e la complessa realtà del nostro Paese.
Gabriele D'Annunzio:
La Pioggia Nel Pineto
Taci Su le soglie
Del bosco non odo
Parole che dici
Umane; ma odo
Parole più nuove
Che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
Dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
Salmastre ed arse,
Piove sui pini
Scagliosi ed irti,
Piove su i mirti
divini,
Su le ginestre fulgenti
Di fiori accolti,
Su i ginepri folti
Di coccole aulenti,
Piove su i nostri volti
silvani,
Piove su le nostre mani
ignude,
Su i nostri vestimenti
leggeri,
Su i freschi pensieri
Che l'anima schiude
novella
Sì la favola bella
Che ieri
T'illuse, che oggi m'illude,
O Ermione.
Odi?La pioggia cade
Su la solitaria
verdura
Con un crepitio che dura
E varia nell'aria
Secondo le fronde
Più rade, me rade.
Ascolta. Risponde
Al pianto il canto
Delle cicale
Che il pianto australe
Non impaura,
Né il ciel cinerino.
E il pino
Ha un suono, e il mirto
Altro suono, e il ginepro
Altro ancora, stormenti
diversi
Sotto innumerevoli dita.
E immersi
Noi siam nello spirto
silvestre,
D'arborea vita viventi,
E il tuo volto ebro
E' molle di pioggia
Come una foglia,
E le tue chiome
Auliscono come
Le chiare ginestre,
O creatura terrestre
Che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L'accordo
Delle aeree cicale
A poco a poco
Più sordo
Si fa sotto il pianto
Che cresce;
Ma un canto vi si mesce
Più roco
Che di laggiù sale,
Dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
S'allenta, si spegne.
Sola una nota
Ancor trema, si spegne,
Risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
L'argentea pioggia
Che monda,
Il croscio che varia
Secondo la fronda
Più folta, me folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
E' muta; mia figlia
Del limo lontana,
La rana,
Canta nell'ombra più fonda,
Che sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
Sì che par tu pianga
Ma di piacere; non bianca
Ma quasi fatta virente,
Par da scorza tu esca.
È tutta la vita è in noi fresca
aulente,
Il cuor nel petto è come pesca
intatta,
Tra le palpebre gli occhi
Son come polle tra l'erbe,
I denti negli alveoli
Son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
Or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
Ci allaccia i malleoli
C'intrica i ginocchi)
Chi sa dove,chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
Piove su le nostre mani ignude,
Su i nostri vestimenti
leggeri,
Su i freschi pensieri
Che l'anima schiude
novella,
Su la favola bella
Che ieri
M'illuse,che oggi t'illude,
O Ermione.
La poesia, 128 versi di varia lunghezza e con un libero gioco di rime e di assonanze,ci offre un esempio del panismo (da Pan, il mitico dio della natura), una magica sensazione di fusione con la natura, che il D'Annunzio, con l'armonia e la musicalità delle parole, riesce a produrre.
La poesia, la composizione risale al 1902, descrive una passeggiata del poeta con la sua donna, ricordata con il nome suggestivo di Ermione, in una pineta in prossimità del mare, nell'imminenza di un temporale estivo che li sorprende.
La pioggia nella pineta diventa musica che si origina dalla natura ed il poeta invita la donna a tacere per ascoltarla.
Dal primo ticchettio delle gocce sulle "tamerici salmastre ed arse", sui "pini scagliosi ed irti", sui "mirti divini", sulle "ginestre fulgenti di fiori accolti", sui "ginepri folti di coccole aulenti", si passa ad uno scroscio pieno che avvolge il bosco intero e lo stesso poeta che, con la sua compagna, si sente tutto uno con la natura.
Straordinaria à l'abilità del poeta nel farci ascoltare l'orchestrazione di quei suoni, come se le foglie delle diverse piante fossero strumenti capaci di suoni differenti.
Ma non si tratta solo di un virtuosismo d'onomatopee, visto che D'Annunzio riesce mirabilmente a comunicarci il sentimento "panico" della natura, l'immersione gioiosa e voluttuosa in essa fino alla metamorfosi dei due personaggi che, presi per così dire dallo spirito stesso del bosco, si sentono come trasformati essi stessi in creature arboree. E' quel voluttuoso abbandono a quel rincorrersi di sensazioni:le ciglia nere di Ermione,sul viso bagnato dalla pioggia, sembrano risaltare come in un pianto,ma di piacere. E le sensazioni straordinarie di quella trasformazione s'intrecciano con il gioco amoroso del lasciarsi e ricongiungersi che è reso come una metafora dall'andare nel bosco "di fratta in fratta, or congiunti or disciolti, .che sa dove, chi sa dove!".
Latino: Petronio
Per molto tempo si è parlato di una questione petroniana, finché è durata l'incertezza sull'epoca, la persona, il nome completo e il titolo dell'opera narrativa di P., ovvero se si trattasse effettivamente del personaggio rappresentato da Tacito negli "Annales". Oggi finalmente quest'identificazione sembra pacifica: le qualità che Tacito dà alla figura di P. sono tutte qualità, infatti, che l'autore del "Satyricon" deve aver posseduto in modo elevatissimo. Non sappiamo se Tacito conoscesse direttamente il romanzo; se lo conosceva, è lecito pensare che ne abbia tenuto conto nella sua descrizione di P., ma non era tenuto a citare nella sua severa opera storica un testo così eccentrico e scandaloso. Certi aspetti del testo, poi, possono benissimo rimandare all'ambiente Neroniano, e il gusto di P. per la vita dei bassi fondi può avere una sottile complicità con i gusti dell'imperatore. Se l'autore è in realtà il Petronio di Tacito, dobbiamo aspettarci certamente allusioni anche sottili all'ambiente della corte Neroniana.
Tutti gli elementi di datazione interni concordano, del resto, con una datazione non oltre il principato di Nerone. Le allusioni a personaggi storici e i nomi di tutte le figure del romanzo sono, insomma, perfettamente compatibili con il contesto del periodo storico di Nerone.
Tema importante da ricordare è il suo suicidio in grande stile: non volle attendere che gli giungesse l'ordine di morire, prima ancora, mentre era a Cuma (proprio a séguito dell'imperatore), si fece incidere le vene, e poi, rallentando il momento della fine richiudendosele, passò le ultime ore a banchetto non a discorrere, alla maniera dei saggi e degli uomini forti (insomma, alla maniera stoica di Lucano e di Seneca), i soliti discorsi sull'immortalità dell'anima, bensì - con ostentato atteggiamento epicureo - ascoltando poesie di contenuto poco serio e amene discussioni. Tuttavia, volle mostrarsi anche serio e responsabile: si occupò dei suoi servi (ne ricompensò alcuni, altri li fece sferzare), e scelse di denunciare apertamente, in una serie di "codicilli", i crimini dell'imperatore (non volle adularlo come solevano invece fare i condannati per mettere al riparo da persecuzioni amici e parenti), descrivendone con ogni particolare la vita scandalosa, con nomi di pervertiti e di prostitute; quindi, sigillò lo scritto e distrusse il suo anello, perché non potesse venire riutilizzato in qualche intrigo o per calunniare innocenti
Il Satyricon
Il numero di libri di cui è composta l' opera è incerto. Da prima risposta, scontata ma sicura, è: non meno di 16. Sul totale non si può avere alcuna certezza, ma un'ipotesi affascinante, che vedrebbe nel Satyricon una sorta di riecheggiamento parodistico dell'Odissea, potrebbe indurre ad orientarsi sul numero canonico di 24.
Nessuna certezza si può avere sulla data di composizione. Se si identifica l'autore con il cortigiano di Nerone, si può affermare per lo meno che essa fu composta anteriormente al 66 d.C. , data della morte di Petronio.
Per quanto riguarda l'ambientazione o cronologia interna, i critici sono concordi nel ritenere che ogni allusione storica, sociale, politica, giuridica, economica contenuta nel Satyricon, faccia riferimento all'epoca Giulio-Claudia, e in ogni modo ad un periodo non successivo a quello Neroniano.
Per quanto riguarda il resto della trama, sarebbe pura presunzione azzardare una ricostruzione che vada al di là dei pochissimi "punti fermi" ricavabili da tale frammento: possiamo cioè ipotizzare che la vicenda prendesse l'avvio da un'offesa, forse involontaria, di Encolpio nei confronti del dio Priàpo, e si concludesse con il perdono da parte del dio e la riconquista della virilità.
Va scartata subito l'ipotesi che esso sia stato scritto per il grosso pubblico: si tratta di un'opera troppo colta ed allusiva per essere compresa e goduta dalle "persone comuni".
il romanzo potrebbe avere, come le Metamorfosi di Apuleio e la "Divina Commedia" di Dante, una duplice chiave di lettura: fruibile anche come semplice e spensierato racconto d'avventure e di sesso da parte di chi non intenda scendere al di sotto della superficie del testo, potrebbe avere un significato allegorico più profondo, comprensibile solo a lettori forniti di determinati strumenti interpretativi. Se anche così fosse, però, lo stato lacunoso del testo ci impedisce di formulare qualsiasi ipotesi attendibile circa questo presunto significato allegorico.
Petronio, dunque, presenta e ritrae un mondo corrotto, popolato da personaggi squallidi e anonimi, che traggono soddisfazione solo dai piaceri più essenziali ed immediati. Insomma, egli raffigura una fascia sociale che non sembra animata da alcuna ispirazione/aspirazione ideale e che nella cultura del tempo non trovava evidentemente spazio. Eppure, Petronio fa ciò senza compiacimento, anzi quasi con distacco, prendendo le dovute distanze, ma non senza ironia e malizia: egli, cioè, non offre ai suoi lettori nessun strumento di giudizio, e non potrebbe essere altrimenti, in una narrazione condotta in prima persona da un personaggio che è dentro fino al collo in quel mondo sregolato. L'originalità del realismo di Petronio sta così non tanto nell'offrirci frammenti di vita quotidiana, ma nell'offrirci una visione del reale che è critica quanto spregiudicata e disincantata: ma di una critica, come detto, "estetica", e non di natura sociale e/o politica, senza le stilizzazioni e le convenzioni tipiche della commedia e senza i filtri moralistici propri della satira: ciò che egli veramente disapprova è soltanto il cattivo gusto.
Semmai, più evidente è l'attacco nei confronti dei filosofi contemporanei, primo fra tutti Seneca: essi vengono ridicolizzati nella loro ansia di rinnovamento, nel loro predicare la virtù e sognare un mondo migliore; e ad essi, Petronio contrappone realisticamente quella umanità bassa e desolata, ch'è, se vogliamo, la vera protagonista del romanzo.
Infine per concludere sottolineiamo che il nostro Federico Fellini trasse, negli anni '70 del secolo scorso, uno dei capolavori della cinematografia italiana, il Satyricon, appunto: un'originale rielaborazione visiva del romanzo di Petronio, che fu un'opera letteraria antica e moderna nei contenuti, intrisa di raffinate eleganze stilistiche e non avara di momenti di vera poesia.
Storia: La Grande Guerra
Dall'estate 1914 all'autunno 1918 l'Europa fu devastata da un conflitto d'immani dimensioni, quale l'umanità non aveva mai conosciuto.
La Grande Guerra come fu significativamente chiamata, costituisce una svolta storica fondamentale, tanto che una parte della storiografia vi scorge il vero "inizio" del Novecento.
Il 28 giugno 1914, uno studente bosniaco di nazionalità serba, appartenente ad un'associazione nazionalista, uccise a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando, ( a lato una rappresentazione dell'uccisione) erede al trono d'Austria. Ritenendo il governo serbo corresponsabile dell'attentato, il 23 luglio Vienna inviò a Belgrado un ultimatum, che imponeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sull'attentato. I serbi rifiutarono l'intromissione e l'Austria il 28 luglio dichiarò guerra alla Serbia, con l'appoggio del Kaiser Guglielmo secondo.
L'attentato di Sarajevo fu il detonatore di un conflitto che in realtà si accese "per decidere quale nazione o gruppo di nazioni avrebbe avuto il ruolo di dominatore d'Europa".
La Grande Guerra fu dunque un conflitto per l'egemonia in Europa; un conflitto che si usa definire "mondiale" perché coinvolse anche nazioni non europee, ma che fu profondamente europeo nelle sue origini e nel suo svolgimento.
La crescente conflittualità fra le grandi potenze sul terreno economico e coloniale, nasceva dal fatto che, mentre la Gran Bretagna e, in minor misura, la Francia disponevano di enormi imperi coloniali, la Germania aveva possedimenti assai più ridotti ed economicamente meno vantaggiosi.
Questo squilibrio era in contraddizione con i nuovi rapporti di forza economici maturati negli ultimi decenni dell'Ottocento: la Germania aveva accresciuto enormemente la sua propria potenza industriale e mercantile e ormai minacciava il primato economico della Gran Bretagna.
Dal punto di vista politico, l'impero tedesco aveva abbandonato la politica d'equilibrio dettata da Bismark orientandosi decisivamente ad una politica di potenza/espansionistica su scala mondiale (la cosiddetta Weltmachtpolitik), che implicava l'espansione coloniale in Africa ma soprattutto la volontà di costruire un'egemonia tedesca nell'Europa centrale e orientale.
Inoltre, al contrasto tra Germania da un lato, Gran Bretagna e Francia dall'altro, si sommava la tradizionale rivalità tra Austria e Russia, interessate all'area balcanica e ai territori dell'agonizzante impero ottomano. Dal canto suo, l'Italia si poneva di recuperare le terre ancora soggette al dominio austriaco (Trento e Trieste): queste rivalità avevano condotto a sostituire il fragile equilibrio di Bismark con un sistema di contrapposte alleanze politco-militari, la Triplice intesa e la Triplice alleanza. Contestualmente, da parte delle potenze europee era iniziata una vera e propria corsa agli armamenti. Nei diversi paesi si rafforzarono quei settori che guardavano con favore ad un eventuale conflitto: soprattutto i grandi gruppi industriali, che vi scorgevano una straordinaria opportunità economica, e le gerarchie militari, desiderose di consolidare il prestigio conquistato durante l'espansione coloniale. Inoltre all'interno delle classi dirigenti si iniziò anche a guardare alla guerra come un mezzo per consolidare l'unità nazionale e contenere i conflitti sociali, recuperando unanimità i consensi. L'operazione ebbe successo, poiché il consenso all'idea della guerra si diffuse ampiamente non solo all'interno dei gruppi nazionalisti più aggressivi, ma anche fra le masse cittadine. Lo spirito di unanimità fu battezzato Comunità d'Agosto, movimento di concordia nazionale che attraversò le popolazioni europee, Russia inclusa, nel 1914.
A sei mesi dallo scoppio del conflitto, il mito dell'offensiva, adottato dalla Francia in Lorena e dalla Russia nella Prussia orientale, si era dissolto nella quotidianità di una guerra essenzialmente difensiva in cui gli eserciti si fronteggiavano lungo le trincee, lanciando sanguinose e inutili offensive, senza che nessuno infliggesse al nemico colpi decisivi e significativi.
La situazione rimase così bloccata per anni, con enormi costi umani ed economici, mentre i soldati nelle trincee erano sottoposti ad uno sfibrante logoramento fisico e morale.
L'Italia inizialmente si mostrò neutrale; ciò è motivato dal fatto che la Triplice alleanza, di cui faceva parte, era un patto difensivo, quindi non la impegnava ad intervenire al fianco degli imperi centrali. Il motivo più consistente era però che gli interessi italiani nel Trentino, nella Venezia Giulia e nell'adriatico erano in conflitto proprio con quelli austriaci. La bilancia di un eventuale intervento sembrava dunque pendere più in favore dell'intesa.
Allo scoppio del conflitto si erano delineate due correnti di opinione: interventisti e neutralisti.
Mentre i neutralisti (liberali giolittiani, socialisti, cattolici) si mostravano divisi e spesso esitanti nel difenderete la loro posizione, gli interventisti (nazionalisti tra cui d'annunzio, irredentisti, sindacalisti, e socialisti rivoluzionari) costituirono un fronte compatto e aggressivo. Questi erano accomunati dal rifiuto verso tutto ciò che aveva rappresentato l'esperienza giolittiana, incapace di suscitare il senso do coesione nazionale di cui l'Italia aveva bisogno.
Nel condurre in guerra l'Italia, che era in ogni caso in maggioranza neutralista, giocarono un ruolo decisivo i gruppi dirigenti, che vi scorsero un modo per ricomporre gli equilibri intorno ad un governo forte, capace di mettere definitivamente fuori gioco giolittiani e socialisti.
Al tempo stesso, si vide nel conflitto un'occasione per rilanciare l'economia e assorbire la disoccupazione.
Favorevoli all'entrata in guerra dell'Italia erano il re Vittorio Emanuele III ed il governo, guidato da Antonio Calandra (succeduto a Giolitti) e dal ministro dell'esteri Sidney Sonnino (Foto a Lato).
In accordo con le gerarchie militari, essi ritenevano la guerra funzionale agli interessi dell'Italia, al prestigio della corona, ma anche al ristabilimento dell'ordine di fronte a conflitti sociali sempre più estesi e violenti: l'episodio più grave si verificò fra il 17 ed il 13 giugno 1914 (la settimana rossa), quando i disordini scoppiati in Emilia e nelle Marche per l'uccisione di tre operai, erano stati soffocati solo con l'intervento dell'esercito.
Successivamente, il 16 aprile 1915 Sonnino, all'insaputa del parlamento, strinse con l'intesa un accordo segreto (patto di Londra) che impegnava l'Italia ad entrare in guerra nel giro di un mese in cambio di concessione territoriali (il Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste Gorizia e l'Istria).
Il dibattito parlamentare si svolse in un clima di grandi manifestazioni di piazza organizzate dai nazionalisti, con atti di intimidazione verso i neutralisti (le giornate del maggio radioso, secondo la definizione di D'Annunzio).
I neutralisti, preoccupati del clima di violenza, di fatto rinunciarono alla lotta. I cattolici adottarono un atteggiamento di disciplinata obbedienza alle decisioni prese; i socialisti approdarono all'ambigua formula "né aderire né sabotare". Il parlamento approvo infine al fatto compiuto: al voto, l'intervento in guerra fu approvato con 407 voti contro 74.
Il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarò guerra all'Auatria-Ungheria
Tra il 1915 e il 1916 si completarono gli schieramenti delle alleanze in Europa, con l'entrata in guerra degli stati balcanici: Montenegro, Grecia e Romania al fianco dell'Intesa, la Bulgaria con gli imperi centrali. Ultimo stato ad entrare in guerra fu nel marzo 1916, il Portogallo, tradizionale alleato dell'Inghilterra.
La situazione miliare rimaneva però bloccata su tutti i fronti, con gravi perdite da entrambe le parti: nella battagli di Ypres (aprile 1915) i tedeschi impiegarono per l prima volta il gas asfissiante.
Gli imperi centrali, numericamente inferiori, incontravano sempre maggiori difficoltà a rifornirsi di materie prime di alimenti, a causa del blocco navale attuato dalla marina britannica nel mare del Nord per strangolare l'economia tedesca.
Nel febbraio 1916 tentarono quindi di sferrare un colpo decisivo con una grande offensiva sul fronte occidentale, a Verdun: sei mesi di battaglia, non ne ricavarono alcun risultato.
Per forzare il blocco navale britannico, i tedeschi spostarono la guerra sul mare. Non essendo riusciti ad imporsi nella grande battaglia navale dello Jutland, intensificarono la guerra sottomarina, inizialmente parziale, poi totale: per mettere in ginocchio l'economia britannica, i sommergibili tedeschi attaccavano con siluri le navi di qualsiasi nazionalità, militari e non, in rotta per la Gran Bretagna.
Il 1917 fu un anno cruciale per le sorti del conflitto. Sul fronte orientale l'esercito russo precipitò in una profonda crisi, cadendo in più punti.
Il tracollo economico e militare della Russia divenne in seguito anche politico nella rivoluzione del febbraio 1917, che porto alla rinuncia del potere da parte dello Zar Nicola II e alla successiva rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917.
Questi eventi condussero al ritiro della Russia dalla guerra, cosa che permise ai tedeschi di concentrare le proprie forze sul fronte occidentale e su quello Italiano.
Qui i tedeschi riuscirono a sfondare a Caporetto, costringendo i reparti italiani ad una ritirata precipitosa fino al fiume Piave, dove fu stabilita la nuova linea del fronte.
Contemporaneamente, anche se i sottomarini tedeschi affondarono numerosissime tonnellate di naviglio, l'economia britannica riuscì a reggere anche agli aiuti americani.
Il dato più significativo del 1917 fu però il diffondersi, in tutti gli eserciti, di un clima di sfiducia e di ribellione: logorati dalla guerra di trincea, dai massacri attuali e subiti, dalla paura di morire e dal rifiuto di uccidere, i combattenti erano allo stremo delle forze fisiche e psichiche.
Assai frequenti furono i comportamenti individuali di rifiuto a combattere: diserzione, fuga, fraternizzazione con il nemico, simulazione di malattie fisiche e mentali, automutilazione.
In Italia, nella stessa disfatta di Caporetto, emersero sbandamento morale, estraneità verso un conflitto di cui la maggior parte dei contadini-fanti italiani non aveva mai compreso il senso e condiviso i valori.
Analoghi segni di cedimento mostravano le popolazioni civili, costrette ormai da anni a disastrose condizioni di vita. Ciò provocò, sopratutto in Germania, Francia e Italia, scioperi e sommosse contro la guerra: nell'agosto 1917 quattro giorni di barricate infiammarono Torino. I socialisti iniziarono un'intensa propaganda per la pace: dalla conferenza di Zimmerwald (1915) usci una richiesta di pace senza annessioni né indennità. Il papa Benedetto XV, nel 1917, invito i governi belligeranti a porre fine all'"Inutile Strage".
In questo clima, l'intervento degli Stati Uniti, deciso nell'aprile 1917 dal presidente Wilson, risultò decisivo a spostare gli equilibri bellici a favore dell'intesa. Fino a quel momento gli USA avevano sostenuto economicamente gran Bretagna e Francia.
Diverse motivazioni spinsero l'amministrazione statunitense a mutare atteggiamento: l'affinità ideologica e politica con le potenze democratiche dell'intesa: la voltò di salvaguardare la libertà di commercio sui mari, limitata fortemente dalla guerra sottomarina tedesca; la preoccupazione per la sorte dei prestiti concessi a Francia e Gran Bretagna.
Tuttavia la svolta si ebbe nel marzo 1918 quando una nuova, gigantesca offensiva, fu rilanciata dal generale Ludendorff sul fronte occidentale.
I Tedeschi riuscirono a prenotare, ma furono respinti dalla truppe alleate, che contrattaccarono sfondando le linee tedesche ad Amiens.
Intanto, in Italia, il generale Cadorna era stato sostituito dal generale armando Diaz.
Nel paese, sconvolto dalla tragedia di Caporetto (Foto a Lato). Fu compiuto un grande sforzo per superare la crisi.
Alla repressione del "disfattismo", etichetta che bollava ogni manifestazione giudicata non patriottica, furono associati provvedimenti per crescere il consenso: fu riorganizzato l'esercito , istaurando un rapporto più umano tra ufficiali e truppe; furono promessi ai soldati premi e vantaggi economici per il dopoguerra; organizzazioni pubbliche e private moltiplicarono gli sforzi per dare assistenza ai combattenti e alle loro famiglie; appositi "uffici p" (propaganda) per diffondere al fronte e all'interno la parola d'ordine del patriottismo e della solidarietà nazionale.
Con la nuova strategia di Diaz i soldati diedero i loro frutti: l'offensiva austriaca del giugno 1918 sul grappa e sul Piave venne, anche se a caro prezzo, arrestata. Il 24 ottobre l'esercito italiano contrattaccò sbaragliando gli austriaci a Vittorio Veneto. Il 24 novembre 1918, a villa Giusti, presso Padova, l'Austri-Ungheria firmo l'armistizio. Anche la Germania stremata economicamente e militarmente chiese all'intesa l'armistizio, che firmato 11 novembre 1918, segno la fine del conflitto.
Filosofia: Friedrich Nietzsche
Il pensiero di Friedrich Nietzsche (Sotto: Ritratto di Friedrich Nietzsche d'Edvard Munch) è uno spartiacque della filosofia contemporanea.
Ma, forse proprio per questo, è oggetto d'interpretazioni molto divergenti.
Qual è il vero Frierdrich Nietzsche? Quello che di se aveva detto: "Io non sono un uomo, sono una dinamite?" cioè sono un pensatore essenzialmente distruttivo della "cultura", dei miti laici del progresso, della scienza, delle filosofie razionaliste, positiviste e stroriciste? Il filosofo del nichilismo, della negazione di tutti i valori? Oppure il filosofo che del nichilismo ha fatto il punto di forza per costruire un nuovo sistema di verità e di valori, una nuova filosofia, centrata sui tre pilastri del superuomo (l'oltreuomo), dell'eterno ritorno e della volontà di potenza.
Tuttavia il pensiero di Frierdrich Nietzsche ha attraversato tre distinte fasi di svolgimento.
Nella prima è stata molto forte l'influenza di Schopenauer e Wagner. L'orientamento di fondo privilegia l'arte in grado di attingere la realtà profonda. L'arte esprime il dispiegarsi dello spirito Dionisiaco, ciò la vitalità e l'ebbrezza che accompagnano i momenti più creativi e profondi della vita dell'uomo. Proprio la filosofia di Schopenauer, che ha rivelato l'irrazionalità della vita, il vuoto di valori, insieme alla musica di Wagner, che con le sue melodie ha esaltato l'energie vitali dell'individuo e messo radicalmente in discussione la musica tradizionale ( il melodramma), appaiono a Nietzsche come possibilità di un ritorno dello spirito dionisiaco nella cultura e nella società Tedesca. A tale orientamento si accompagna una critica di fondo dello storicismo idealistico e delle pretese della scienza e della filosofia positivistiche, prevalenti nella cultura del secolo.
La seconda fase è caratterizzata dall'abbandono della filosofia di Schopenauer e della musica Wagner, in quanto la prima viene accusata di predicare una mortificazione delle energie vitali dell'individuo, la seconda viene considerata solo un'espressione della "decadenza" della cultura europea. A tale cambiamento si accompagnano una serrata critica della metafisica e della morale, l'annuncio della morte di Dio ed un idea di trasmutazione di tutti i valori. In questa analisi N adotta un metodo inteso come azione di smascheramento delle motivazioni reali della condotta umana, al di là delle funzioni ipocrita in cui esse vengono oscurate e nascoste. Secondo N il fluire della realtà non è " rettilineo" ma ciclico e in se compiuto. In esso si colloca l'opera dell'oltreuomo un essere del tutto nuovo, espressione di una umanità che è in grado di superare se stessa, i proprio limiti tradizionali.
L'uomo che "diviene ciò che è", non esclude non nega alcuna delle possibilità che gli sono offerte, ma si eleva al disopra del gregge.
Il superuomo di Nietzsche, infatti, non è per nulla un uomo le cui caratteristiche siano amplificate all'ennesima potenza, egli è semplicemente l'uomo che sta "al di là" dell'uomo presente.
Dunque il superuomo è l'immagine dell'uomo nuovo, la tappa successiva che l'umanità deve compiere dopo essersi lasciata alle spalle la scimmia.
Il ritorno alla terra.
Far ritorno alla terra ed essere fedeli significa, per Nietzsche, accettare tutte le conseguenze della morte di Dio, significa rifiutare di produrre "sopraterrene speranze" in quanto, non essendoci più Dio non c'è più alcuna salvezza di cui curarsi né alcun "mondo dietro il mondo" in cui trovare il rifugio al pensiero della morte.
Il superuomo è l'uomo di questa terra, è l'uomo che sa guardare in faccia all'esistenza, nella consapevolezza che, morto Dio, non ci sia nulla al di là di essa.
Proprio per questo motivo, egli è anche il mare entro cui si raccoglie il disprezzo dell'uomo.
Il superuomo è l'uomo.
Il superuomo è l'uomo senza morale, egli è il senso della terra e deve creare un senso nuovo di essa.
Ha il compito di creare il "nuovo se stesso", il superuomo, colui che ama la terra i cui valori sono: la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca ed un nuovo orgoglio.
"La grandezza dell'uomo è di essere ponte e non uno scopo; nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto".
Tramontare significa dire di sì alla vita in una sorta di amore e fati.
Coloro che considerano se stessi spiriti liberi sono tutto altro che liberi, in quanto ancora credono nella verità: spirito veramente libero è invece colui che si libera di questa menzogna e ipocrisia e sa ritrovare il vitale, ciò che di istintivo vi è nell'uomo individuale; e nel profondo dell'uomo c'è il piacere, vanità, egoismo, desiderio di godimento e soprattutto amore di potenza.
Ma da dove viene questa spinta irrefrenabile nel dire di sì alla vita?
Questa domanda ci riconduce alla dottrina del superamento: la volontà di Potenza è la volontà che vuole se stessa, è la pura volontà dell'individuo di affermarsi come volontà di un continuo "autosuperamento" di se stessi.
Le tre metamorfosi:
Lo spirito diventa cammello (valori stabiliti).
Il cammello diventa leone (distruzione dei valori stabiliti).
Il leone diventa fanciullo (nascita dei nuovi valori) => SUPERUOMO
L'uomo dallo "stato di cammello" diviene "leone", o spirito libero, vale a dire negatore di tutti i valori del passato, accusatore implacabili di tutti i miti antichi e moderni, di tutte le illusorie favole che l'uomo ha narrato sulla vita e contro di essa.
La sua volontà di potenza incarnerà finalmente valori salutari e terreni. È in esse che il "sì alla vita" trova la sua ultima generazione.
Ai vecchi doveri il superuomo sostituisce la sua volontà: al "tu devi" si oppone l'"io voglio".
Confronto con D'Annunzio
Secondo D'Annunzio il superuomo rappresenta un personaggio che ha una missione politica, che si accorda perfettamente con l'età dell'imperialismo, del militarismo e della società fascista.
Con il super uomo D'Annunzio vuole reagire di fronte alla società capitalistica. D'Annunzio stesso si sente un superuomo e vuole realizzare questo suo ruolo nella società.
Nel pensiero di Nietzsche, invece, il superuomo rappresenta soltanto una concezione filosofica legata al suo pensiero e alla riflessione sull'esistenza dell'uomo.
Il pensiero di Nietzsche è stato interpretato in modo scottante e nel corso del tempo si è spesso associato alla cultura di destra, al punto che è stato definito il filosofo del nazismo.
Questa tesi è stata rivista in quanto tutto il pensiero di Nietzsche è stato falsato da sua sorella, la quale a manipolato le sue opere.
Inglese: Oscar Wilde and "The Picture of Dorian Gray"
When The Picture of Dorian Gray was serialized in Lippincott's Monthly Magazine in 1890, it was decried as immoral. In revising the text the following year, Wilde (Photo to Left) included a preface, which serves as a useful explanation of this philosophy of art. The purpose of art is to have no purpose. In order to understand this claim fully, one needs to consider the moral climate of Wilde's time and the Victorian sensibility regarding art and morality. The Victorians believed that art could be used as a tool for social education and moral enlightenment. The aestheticism movement, of which Wilde was a major proponent, sought to free art from this responsibility. The aestheticists were motivated as much by contempt for bourgeois morality and sensibility which is embodied in Dorian Gray by Lord Henry Wotton, whose every word seems designed to shock the ethical certainties of the middle class----------as they were by the belief that art need not possess any other purpose than being beautiful.
The first principle of aestheticism, the philosophy of art by which Oscar Wilde lived, is that art serves no other purpose than beauty. Throughout The Picture of Dorian Gray, beauty reigns. It is a means to revitalize the wearied senses, as indicated by the effect that Hallward's painting has on the cynical Lord Henry. It is also a means of escaping the brutalities of the world: Dorian distances himself, not to mention his consciousness, from the horrors of the actions by devoting himself to the study of beautiful things (music, jewels, and rare tapestries). In a society that prizes beauty so highly, youth and physical attractiveness become great commodities. Lord Henry reminds Dorian of as much upon their first meeting, when he laments that the young man will soon enough lose his most precious attributes. For although beauty and youth remain of utmost importance at the end of the novel---------the portrait is, after all, returned to it's original form---------the novel suggests that the price one must pay for them is exceedingly high. Dorian gives nothing less than his soul. Oscar Wilde, like his fictional creation, committed a similar mistake when he sacrificed his career, his reputation, and his livelihood for a beautiful, young boy who would later lead him to ruin.
I t is no surprise that a society that prizes beauty above all else is a society founded on a love of surfaces. What matters most to Dorian do Henry, and the polite company they keep is not whether a man is good at heart but rather whether he is handsome.
In the early chapters of The Picture of Dorian Gay, we are introduced to a young and naive character, Dorian gray Wilde's descriptions of the young man create a picture of an innocent yet easily influenced Dorian, who is just beginning to learn what the adult world is all about. He is happy and handsome, yet when he is introduced to Lord Henry, he begins to experiment a little bit more on the side of sin. He becomes obsessed with youth and beauty, and he says that he "would give everything, even (his) very soul" to remain attractive and young. After this declaration, the reader is introduced to a changed Dorian Gray and his new philosophies about life, which begin to sound a lot like Lord Henry's thoughts. Dorian """falls in love""" and then he breaks a girl's heart, causing her to end her life. His beautiful portrait begins to alter, and he locks the picture away. At this point in the novel, the reader is brought forward in time, and Dorian is now closer to middle age. Oscar Wilde uses very dark words to set a dreary mood and also a very different sort of image than from the beginning of him novel. Dorian's life over the past years is described in detail, marking his drastic change and the hold the devil has over him. It appears that Dorian's conscience and his very soul has left his body forever, leaving him a sinful and very conceited person. People despise him, and some even leave a room when he enters. It is very clear that Dorian Gray has morphed into someone who is his opposite from earlier in his life. Oscar Wilde makes the reader feel utter despair, because it seems that Dorian has changed far too much to be able to change for the better. Near the end, hope seems to surface, only to disappear into sadness when Wilde has Dorian stab the painting, therefore stabbing his very soul, and killing himself.
The Picture of Dorian Gray is the story of moral corruption by the means of aestheticism. In the novel, the well meaning artist Basil Hallward presets young Dorian Gray with a portrait of himself. After conversing with cynical Lord Henry Wotton, Dorian makes a wish which affects his life forever. " If it were I who was to be always young, and the picture that was to grow old! For that I would give everything| Yes, there is nothing in the whole world I would not give! I would give my soul for that". As it turns out, the devil that Dorian sells his soul to is Lord Henry Wotton, who exists not only as something external to Dorian, but also as a voice within him. Dorian continues to lead a life of sensuality which he learns about in a book given to him by Lord Henry. Dorian's unethical devotion to pleasure becomes his way of life.
Each of the three primary characters is an aesthete and meets some form of terrible personal doom.
Basil Hallward's aestheticism is manifested in his dedication to his artistic creations. He searches in the outside world for the perfect manifestation of his own soul, when he finds this object, he can create masterpieces by painting it.
Lord Henry believes that, "it is better to be beautiful than to be good". Basil Hallward accuses him saying, "You never say a moral thing and you never do a wrong thing". However, Lord Henry does take the immoral action of influencing Dorian. Because Lord Henry is responsible for influencing Dorian Gray, he is partly the cause of the death of Dorian.
Off all the protagonists, Dorian's downfall is the most clearly recognized. A young man who was pure at the beginning of the novel becomes depraved by the influence of Lord Henry, including the murder of his dear friend Basil Hallward. However, there is still a spark of good left in Dorian. This trace of goodness is not enough to save Dorian, for he has crossed too far towards the perverted aide of aestheticism and cannot escape it.
Dorian becomes so disgusted with this portrait of his soul and his conscience, that he slashes the canvas, killing himself. For Dorian, this is the ultimate evil act, the desire to rid him of all moral sense. Having failed the attempts to escape through good actions, he decides to escape by committing the most terrible of crimes. Aestheticism has claimed its final victim.
"Basil Hallward is what I think I am: Lord Henry what the world thinks of me: Dorian Gray what I would like to be - in other ages, perhaps". Because of the endings he creates for these characters, Oscar Wilde proves that he does not envision himself in the immoral characters, Oscar Wilde proves that he does not envision himself in the immoral characters of this story nor is he attempting to promote their lifestyles. Of all the characters whom he creates, he sees himself as Basil, the good artist who sacrifices himself to fight immorality.
" It was his beauty that had ruined him, his beauty and the youth that he had prayed for". Contrary to Wilde's claim in the preface that, "there is no such thing as a moral or immoral book", this novel has a deep and meaningful purpose. "The moral is that an absence of spirituality, of faith, of regard for human life, separates individuals like Wilde's Dorian Gray from humanity and makes monsters of them." With The Picture of Dorian Gray" is a novel including a moral dialogue between conscience and temptation that is powerfully conveyed. Though it is made to seem an advocate for aestheticism on the surface, the story ultimately undermines that entire philosophy. Wilde demonstrates that "art cannot be a substitute for life". It is fantastic tale of hedonism with a moral to be learned and remembered.
Storia Dell'Arte: L'Impressionismo
Il movimento decadentista si espresse nell'arte nella forma Impressionista.
Senza Parigi l'Impressionismo non sarebbe potuto esistere, ma senza l'Impressionismo Parigi non sarebbe stata ritratta nei suoi aspetti vari e fantasiosi.
Questo movimento artistico si sviluppa in modo completamente diverso dai precedenti: non è né organizzato né preordinato, si costituisce per aggregazione spontanea, senza manifesti o teorie che ne spieghino le tematiche e le finalità.
I giovani artisti, insofferenti per la pittura ufficiale e con una gran voglia di fare, iniziano a riunirsi in un noto locale parigino, il Caffé Guerbois.
Inizialmente era un ritrovo casuale, poi divenne un appuntamento settimanale, o addirittura giornaliero.
Il movimento impressionista, inoltre, è privo di una base culturale omogenea.
La sostanziale differenza tra gli impressionisti e gli altri artisti è il diverso modo che hanno di concepire la realtà esterna. Essi, infatti, si rendono conto che tutto ciò che vediamo con gli occhi continua di là del campo visivo: da ciò scaturisce nei loro dipinti, l'abolizione quasi totale della prospettiva geometrica. Non si rappresentava più la realtà imprigionata negli spazi del reticolo prospettico perché sarebbe stato come inscatolare qualcosa che deve essere libero e naturale.
Quello che più conta nella rappresentazione è l'impressione che ogni stimolo esterno suscita nell'artista, il quale cerca di cogliere la sostanza, di ricercare l'impressione pura.
Per ottenere ciò vengono impiegati vari artifizi:
Abolizione quasi totale delle linee che contornano oggetti definendone i volumi;
Si tende ad abolire il contrasto chiaro-scuro e a dissolvere il colore locale, in quanto ogni colore non esiste in sé, ma solo in rapporto con gli altri colori vicini;
E' la luce, secondo gli impressionisti, che determina la percezione dei vari colori, perciò c'è un'estrema variabilità di colori.
La pittura impressionista cerca di cogliere con la maggiore immediatezza possibile le sensazioni di un istante, cercando di cogliere l'attimo fuggente, con la consapevolezza che quello successivo genererà sensazioni diverse (rapidità nell'esecuzione del dipinto).
Gli artisti preferivano dipingere in "plein air", nell'aria aperta, preferendo boschetti sulla senna o un elegante boulevard affollato di gente.
Le pennellate sono fluide, lungamente studiate, ma date per veloci tocchi virgolati, picchiettature, trattini e macchiette. Vengono usati pochi colori puri con la totale esclusione di nero e bianco, non definiti come colori.
Per questi artisti la realtà, è un'evoluzione continua, cercano, nei dipinti, di rendere la mobilità delle cose.
Edgar Degas
Edgar Degas (Fig. Sotto: "Autoritratto") nasce da famiglia agiata, inizia presto a frequentare il museo del Louvre. La scelta di intraprendere la carriera artistica è subito assecondata dal padre. La prima formazione pittorica avviene in ambiente accademico, anche se successivamente egli lascerà la scuola di Belle arti.
La personalità artistica di Degas è complessa; egli si definiva più realista che impressionista. Nonostante le pressioni degli impressionisti, che facevano propaganda, egli rimase sempre un convinto assertore della pittura in atelier e del disegno preparatorio.
Secondo Degas l'impressione di un istante è complessa e l'immediatezza della pittura in plein air n'avrebbe colto solo gli aspetti superficiali; afferma inoltre che è necessario anche utilizzare la memoria: rappresentare solo ciò che colpisce, l'essenziale.
Dal 1874, in seguito alla morte del padre, l'artista inizia a lavorare sul tema delle ballerine, soggetto che a lui, frequentatore di balletti e spettacoli teatrali, è molto congeniale. (Lateralmente: "Balletto di danza")
Degas è un pitture che non ama i paesaggi né, di conseguenza, la loro rappresentazione. Le sue ambientazioni, al contrario, fanno sempre riferimento ai caratteristici interni parigini.
Ne costituisce un esempio emblematico "L'Assenzio" (Fig. Sotto) . L'opera è ambientata all'interno del caffé Nouvelle-Athènes che, insieme al Caffé Guerbois, era uno dei luoghi di ritrovo prediletti dagli Impressionisti.
È il quadro che esprime il vero lato decadentista di Degas.
La composizione è volutamente squilibrata verso destra, quasi a dare il senso di una visione improvvisa e casuale. L'immagine invece è costruita in modo rigoroso, quasi scientifico.
Il punto di vista è quello alto e decentrato di un osservatore invisibile che può sempre cogliere la spontanea naturalezza d'ogni gesto.
I due personaggi recitano il ruolo di due poveracci: una prostituta di periferia, agghindata in modo pateticamente vistoso e un clochard, il tipico barbone parigino, d'aria burbera e trasandata.
Dinanzi alla donna, sul piano di marmo del tavolino, vi è il bicchiere verdastro dell'assenzio, che da il titolo al dipinto. Davanti al barbone sta invece un calice di vino.
Entrambi i personaggi hanno lo sguardo perso nel vuoto, come se stessero seguendo il filo invisibile dei loro pensieri:
Pur essendo seduti accanto, sono fra loro lontanissimi, quasi a simboleggiare quanto la solitudine, della quale Degas soffrì tutta la vita, può renderci estranei e incapaci di comunicare. L'atmosfera del locale è pesante quanto lo stato d'animo dei due avventori, imprigionati in uno spazio squallido e angusto, di cui l'artista ci offre una descrizione alquanto realistica.
Degas in questo quadro presta molta attenzione ai giochi di luce e di colore.
Alle spalle dei due personaggi, uno specchio sbiadito ne riflette le sagome, dando profondità ad una parete che altrimenti avrebbe finito per schiacciarli.
E proprio dallo specchio proviene la luce fioca e soffusa che illumina la scena.
Geografia Astronomica: Il Sistema Solare
Il sistema solare è un insieme di corpi diversi tra loro per natura e dimensioni, ma accomunati per l'origine.
Esso comprende:
-SOLE
-9 PIANETI
-54 SATELLITI
-MIGLIAIA DI ASTEROIDI
-METEORE, frammenti che attratti dalla terra attraversano l'atmosfera bruciando.
-METEORITI, frammenti che toccano il sole.
-COMETE, piccole masse ghiacciate.
Nello spazio, tra i vari corpi, si trovano la materia interplanetaria, formata da pulviscolo, gas e frammenti subatomici.
LA STELLA SOLE
È la stella da cui riceviamo luce e calore; ha un raggio pari a 109 volte quello della terra; volume 1.300.000 volte quello della terra; densità media ¼ quella della terra; accelerazione è 28 volte quella terrestre.
Il sole ruota intorno al proprio asse, ma con velocità diversa secondo la latitudine: minore ai poli, maggior all'equatore; la rotazione dura dai 25 ai 30 giorni, in quanto il gas non è compatto.
Si può suddividere la struttura del sole in vari involucri concentrici che, essendo tutti gassosi, non hanno limiti precisi.
Il Sole si può suddividere in:
NUCLEO: la parte non visibile e non accessibile.
FOTOSFERA: la superficie visibile.MA SOLARE
ATMOSFERA: distinta in due strati (corona e cromosfera).
IL NUCLEO
Il nucleo è il cuore del sole, dove le temperature sono alte tanto da mantenere attiva la catena protone-protone e la pressione gravitazionale può contenere le esplosioni delle reazioni termo-nucleari (caratterizzate dalla fusione nucleare tra H ed HE).
L'energia di queste si trasmette verso l'esterno attraverso radiazioni che interessano l'involucro successivo: la zona radioattiva (dove gli atomi del gas assorbono ed emettono energia, ma senza reazioni nucleari, per la minore temperatura).
Alla profondità, per la minor pressione, il trasporto d'energia avviene per convezione: questa è la zona convettiva, che forma la superficie luminosa del sole.
LA FOTOSFERA
La fotosfera è l'involucro che irradia quasi tutta la luce solare; la sua superficie non è liscia ma strutturata ai granuli; ognuna di questi dura solo pochi minuti, ma il movimento di tutti, fa sembrare la superficie in continua ebollizione.
La superficie sembra piena di macchie solari (variabili per dimensioni, forma), che sono piccole aree depresse, nelle quali si distingue l'ombra (la parte centrale) e la penombra (fascia più chiara); hanno una temperatura più bassa della superficie solare.
Appaiono di solito a gruppi. Hanno una loro evoluzione: dopo la loro comparsa aumentano le dimensioni ed il numero, poi cominciano a ridursi e scompaiono mentre se ne formano altre (una settimana).
Le macchie visibili ad occhio nudo sono quelle che si sviluppano per più tempo.
Altre due caratteristiche: il numero non è costante, hanno un campo magnetico grande secondo la temperatura.
CORONA E CROMOSFERA
La cromosfera è un involucro trasparente di gas che circonda la fotosfera. È visibile solo durante le eclissi totali di sole ed ha un colore roseo dovuto al fatto che la maggior parte della luce emessa dai gas viene irradiata su una lunghezza d'onda corrispondente alla riga rossa dello spettro dell'idrogeno.
La corona è la parte più esterna del sole ed è formata da gas ionizzati. Ha poca luminosità ed è visibile solo durante le eclissi.
Nella parte più esterna le particelle hanno una velocità sufficiente per sfuggire all'attrazione del sole e si disperdono nello spazio come vento solare.
L'ATTIVITA' SOLARE
Altri due aspetti dell'attività del sole sono:
-Protuberanze: nubi filamentose d'idrogeno (H) che s'innalzano dalla cromosfera e penetrano nella corona con la forma d'archi immensi.
Esse possono essere: quiescenti. Come tenui drappi sospesi e immobili per mesi; eruttive, proiettate dalla cromosfera verso l'esterno.
-Brillamenti (o flares): sono violente esplosioni d'energia; emettono flussi di particelle atomiche e ultraradiazioni.
Quando uno di questi esplode, in
circa 26 ore, le particelle raggiungono
I flares sono prodotti dai rafforzamenti del campo magnetico, che generato all'interno del sole procede verso l'esterno provocando le macchie; divenuti instabili, i rafforzamenti collassato e rilasciano energia sottoforma di flares. I periodi di sole calmo si alternano a quelli di maggiore attività, durante i quali si sovrappongono radiazioni ondulatorie(macchie e brillamenti) e crepuscolari(brillamenti).
Keplero e Newton
I pianeti si distinguono dalle stelle perché cambiano regolarmente la loro posizione nella volta celeste.
Il primo a riconoscere ciò fu Copernico; ad egli seguì Keplero, il quale stabilì che i pianeti percorrono orbite a forma d'ellisse, di cui il Sole occupa uno dei fuochi.
Il movimento è regolato dalle tre leggi di Keplero.
1) "I pianeti descrivono orbite ellittiche, aventi tutte un fuoco comune in cui si trova il Sole."
2) "Il raggio che unisce il centro dal Sole al Centro del pianeta descrive superfici con aree uguali in intervalli di tempo uguali."
3) "I quadrati dei tempi che i pianeti impiegano a percorrere le loro orbite sono proporzionali ai cubi delle loro distanze medie dal Sole" ovvero R³ α T² meglio ancora => R³ / T² = K dove K è la costante di Keplero.
Fu Newton ad intuire l'esistenza di una forza d'attrazione tra i corpi e la descrisse con la legge della gravitazione universale: "Due corpi si attirano in modo proporzionale alla loro massa inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza".
Un pianeta subisce una forte attrazione da parte del sole, mentre è poco attratto dagli altri pianeti o dalle stelle circostanti(a causa della massa, ma i pianeti fanno sentire la loro influenza tramite le perturbazioni: deviazioni della forma delle orbite da ellissi perfette. L'azione gravitazionale è reciproca).
Grazie a questa formula possiamo poi anche stabilire la forza gravitazionale su ogni pianeta: prendiamo per esempio un corpo di massa m, abbiamo sia la massa del pianeta , che il suo raggio , ora applichiamo la formula di Newton e troviamo semplificando ovvero che sarebbe la nostra (accelerazione gravitazionale).
Matematica: Derivata di una funzione e funzioni derivabili
DEFINIZIONE :Chiamasi derivata della funzione f(x) nel punto x0 il limite,se esiste ed è finito,del rapporto incrementale (5) al tendere comunque a zero dell'incremento h della variabile indipendente (1).
La derivata si indica con una qualunque delle seguenti notazioni:
f'(x , y'(x , [Df(x)] x=x
La derivata f'(x della funzione f(x) è quindi definita dalla relazione:
f' (x ) = lim f(x + h) - f(x
h 0 h
ove supponiamo che il limite del secondo membro esista e sia finito.
Sappiamo anche che la derivata di una funzione in un punto rappresenta la direzione della tangente al grafico in quel punto:ne è,infatti il coefficiente angolare.
Se poi la funzione f è derivabile in tutti i punti di un intervallo(oppure in un semiretta o in tutto l'asse reale),allora si definisce la funzione derivata
D (f) = f'(x)
Che associa ad ogni numero x dell'intervallo la derivata di f nel corrispondente punto.
Se una funzione è derivabile in un punto di ascissa x0,allora in quel punto è anche continua.
Infatti,se f è derivabile in x0 esiste il limite finito:
lim f(x + h) - f(x = f'(x
h 0 h
Ma allora:
Lim (f(x + h) - f(x lim f(x + h) - f(x h = f'(x h = 0
h 0 h 0
Ciò significa che la funzione f è continua per x = x0.
Non è però vero il contrario:esistono funzioni continue in un punto,ma ivi non derivabili.
Fisica: La Corrente Elettrica nei Metalli
I metalli sono i migliori conduttori di elettricità perché al loro interno vi sono moltissimi elettroni liberi che quando sono sottoposti ad un campo elettrico,essendo elettricamente negativi,migrano verso i punti a potenziale più alto generando così una corrente elettrica. Per questa ragione gli elettroni liberi si dicono elettroni di conduzione.
L struttura microscopica del rame è costituita da una sequenza ordinata di ioni positivi disposti piuttosto lontani gli un dagli altri. Tra essi vagano i numerosissimi elettroni di conduzione. Poiché queste particelle si comportano in modo simile alle molecole di un gas,si parla di gas di elettroni chiamato anche mare di Fermi dal nome del fisico Enrico Fermi che per primo ne ha descritto le proprietà. A causa dell'agitazione termica gli ioni oscillano rapidamente intorno alla posizione di equilibrio mentre gli elettroni si muovono in tutte le direzioni con velocità pari a 10^6 m\s. Il loro moto è disordinato ed a questo moto di agitazione termica si sovrappone un moto ordinato verso i punti a potenziale più alto.Il moto di ciascun elettrone è il risultato dell'accelerazione continua che esso subisce da parte del campo elettrico e delle brusche frenate causate dalle collisioni con il reticolo cristallino.
La relazione tra la differenza di potenziale Va - Vb e la corrente in un conduttore metallico è espressa dalla prima legge di Ohm:Va - Vb = Ri dovi R è una costante detta resistenza.Lo stesso Ohm dimostrerà con una seconda legge come la resistenza R dipenda dal conduttore e dallo specifico metallo di cui è costituito.
SECONDA LEGGE DI OHM:
La resistenza elettrica di un filo conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e inversamente proporzionale alla sua sezione.Inoltre essa dipende anche dalla sostanza di cui è costituito il filo e dalla sua temperatura.
Indicando con p un coefficiente di proporzionalità che dipende dalla sostanza di cui è fatto il filo e dalla sua temperatura e con L e A rispettivamente la lunghezza e la sezione del filo,si può dunque esprimere la seconda legge di Ohm con la formula:
Il coefficiente di proporzionalità p si chiama resistività o resistenza specifica della sostanza considerata essa è numericamente uguale alla resistenza di un conduttore di quella sostanza lungo 1 m e con una sezione di 1 m².
Indice
Pagina
Copertina
Mappa Concettuale
Italiano: il decadentismo
Gabriele D'annunzio: La Pioggia Nel Pineto
Latino: Petronio
Storia: La Grande Guerra
Filosofia: Friedrich Nietzsche
Confronto con D'Annunzio
Inglese: Oscar Wilde and "The Picture of Dorian Gray"
29 Storia Dell'arte: L'impressionismo
Edgar Degas
33 Geografia astronomica: il Sistema Solare
Keplero e newton
38 Matematica: derivata di una funzione e funzioni derivabili
Fisica: La corrente nei metalli
La Tesina "IL Decadentismo" è stata scritta da: Simone Ciliani
Finita da scrivere il 1/03/2006
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