XXXI
paene insularum Sirmio insularumque
ocelle quascumque in liquentibus stagnis
marique vasto fert uterque Neptunus.
quam te libenter quamque laetus inviso.
vix mi ipse credens Thyniam
atque Bithynos 5
liquisse campos me et videre te in tuto.
o quid solutis est beatius curis.
cum mens onus reponit. ac peregrino
labore fessi venimus larem ad nostrum.
desideratoque acquiescimus lecto. 10
hoc est quod unum est pro laboribus tantis.
salve o venusta Sirmio. atque ero gaude.
gaudete vosque o Lydiae lacus undae.
ridete quidquid est domi cachinnorum.
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Sirmione, gemma delle penisole e delle isole,
tutte quelle che nei limpidi laghi
e nel vasto mare sostiene il duplice Nettuno,
quanto volentieri e quanto lieto torno a rivederti,
a stento credendo a me stesso di aver lasciato la Tinia
e i campi Bitini e di vederti al sicuro.
Che cosa c' è di più felice che l' essere libero dagli affanni,
quando l'animo abbandona il suo peso stanco
per le fatiche in terra straniera giungiamo al nostro focolare
e riposiamo nel letto rimpianto.
Questo è l'unico premio per fatiche così grandi.
Ti saluto, o bella Sirmione, rallegrati del
padrone,
rallegratevi anche voi, onde Lidie del lago.
Ridete voi tutte risate che siete in casa.
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XXXVIII
male est Cornifici tuo Catullo.
male est me hercule et est
laboriose.
et magis magis in dies et horas.
quem tu quod minimum facillimumque est
qua solatus es allocutione. 5
irascor tibi. sic meos amores.
paulum quid libet allocutionis.
maestius lacrimis Simonideis.
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Il tuo Catullo, o Cornificio, sta male,
per Ercole, e soffre sempre più di giorno
in giorno e di ora in ora.
E tu, con quali parole di conforto mi hai consolato,
il che sarebbe stato molto facile?
Sono arrabbiato con te. E' così che tratti il mio amore?
Dammi un po' di conforto, qualsiasi cosa
più triste delle lacrime di Simonide.
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