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Catullo
CARMINA
I. Cui dono
Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas
iam tum, cum ausus es unus Italorum
omne aevum tribus explicare cartis
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
quare habe tibi quidquid hoc libelli
qualecumque; quod, o patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.
Traduzione:
I. A chi
dono. 939f51j
A chi dono un simpatico nuovo libretto
appena ripulito con secca pomice?
Cornelio, a te: tu difatti solevi
pensare valer qualcosa le mie cosucce
già allora, quando hai osato unico degli Italici
spiegare tutta la storia con tre libri
dotti, per Giove, e complessi.
Dunque tieniti quanto più questo di libretto
quale che sia; ma lui, o vergine patrona,
duri perenne più di un secolo.
II. Passer, deliciae meae puellae
Passer, deliciae meae puellae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti
karum nescio quid libet iocari
et solaciolum sui doloris,
credo ut tum gravis acquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi levare curas!
Traduzione:
II. Il
passero, delizia della mia ragazza.
Il passero, delizia della mia ragazza,
con cui suole giocare, e tenerlo in seno,
ed a lui bramoso dare la punta del dito
ed eccitare focosi morsi,
quando alla mia splendida malinconia
piace scherzare a non so che di caro
e piccolo sollievo del suo dolore,
credo perché allora s'acqieti il forte ardore:
teco potessi come lei giocare
ed alleviare le tristi pene del cuore!
XXXIX. Egnatius
Egnatius, quod candidos habet dentes,
renidet usque quaque. si ad rei ventum est
subsellium, cum orator excitat fletum,
renidet ille; si ad pii rogum fili
lugetur, orba cum flet unicum mater,
renidet ille. quidquid est, ubicumque est,
quodcumque agit, renidet: hunc habet morbum,
neque elegantem, ut arbitror, neque urbanum.
quare monendum est te mihi, bone Egnati.
si urbanus esses aut Sabinus aut Tiburs
aut pinguis Vmber aut obesus Etruscus
aut Lanuvinus ater atque dentatus
aut Transpadanus, ut meos quoque attingam,
aut quilubet, qui puriter lavit dentes,
tamen renidere usque quaque te nollem:
nam risu inepto res ineptior nulla est.
nunc Celtiber es: Celtiberia in terra,
quod quisque minxit, hoc sibi solet mane
dentem atque russam defricare gingivam,
ut quo iste vester expolitior dens est,
hoc te amplius bibisse praedicet loti.
Traduzione
XXXIX. Egnazio
Egnazio, perché ha candidi denti,
sorride ad ogni momento. Se si è giunti al banco
del reo, quando l'avvocato muove al pianto,
lui sorride; se si geme presso il rogo del pio
figlio, quando la madre vedova piange il suo unico,
lui sorride. Qualunque cosa sia, dovunque sia,
qualunque cosa faccia, sorride: ha questa malattia,
non elegante, come ritengo, ne civile.
Perciò bisogna che io ti richiami, buon Egnazio.
Se fossi un cittadino o Sabino o di Tivoli
o grasso Umbro o Etrusco obeso
o Lanuvino nero e dentuto
o transpadano, per toccare anche i miei,
o chiunque, che semplicemente si lava i denti,
tuttavia non vorrei che tu sorridessi ad ogni momento:
non c'è nessuna cosa più stupida d'un riso stupido.
Orbene tu sei Celtibero: in terra celtibera,
con ciò che uno ha pisciato, al mattino suole
sfregarsi i denti e la rossa gengiva,
così che quanto più questa vostra dentatura è pulita,
tanto più proclamerà che tu hai bevuto porcheria.
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