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SENECA
Seneca |
Notizie biografiche. |
2 a.C.: nacque a Cordova, città spagnola di fede pompeiana. Il padre era Seneca detto il Retore che lasciò un'importante raccolta delle esercitazioni retoriche praticate al suo tempo. Venuto a Roma seguì le lezioni dei fi 353h77d losofi stoici Attalo e Sestio e subì l'influenza del pitagorico Sestio. |
36 d.C.: tornato a Roma dopo n viaggio in Egitto, intraprese la carriera politica. |
41 d.C.: viene esiliato in Corsica e scrisse la "Consolatio" alla madre. |
49 d.C.: gli viene affidata l'educazione di Nerone che sale al torno 5 anni più tardi. |
59 d.C.: Nerone uccide la madre. |
62 d.C.: si ritira a vita privata. |
65 d.C.: si trova coinvolto nella congiura senatoria contro Nerone detta Congiura dei Pisoni e quando Nerone gli ordina di suicidarsi obbedisce. Le opere di Seneca furono raccolte in 12 libri intitolati "Dialogi". Trattano questioni etiche, psicologiche, naturalistico, tragedie e un'opera satirica in morte di Claudio. |
Seneca, "Epistulae ad Lucilium".
Le lettere di Seneca a Lucilio appartengono all'ultima fase della produzione di Seneca. Esse non furono scritte da un filosofo di professione, da un sapiente che avesse trascorso l'esistenza in un sereno isolamento. Sono invece opera di un uomo che aveva conosciuto la brama di potere e il successo. Lucilio, il personaggio cui Seneca scrive le lettere, era un funzionario della Roma neroniana e alle mansioni pubbliche di lui Seneca fa talora riferimento. Fin dalla prima lettera Seneca afferma che intende avviare l'amico al culto della sapienza e la sapienza è per Seneca la filosofia stoica. Il ruolo può ricordare quello svolto da Lucrezio nei confronti di Memmio, ma il tono di Seneca è in genere più dimesso e familiare, come richiesto dal genere prescelto, quello epistolare: la lettera senecana, un linguaggio inlaboratus et facilis. L'ideale stilistico dell'epoca è quello che tende al mirum, a suscitare stupore e ammirazione e, se l'espressione di Seneca è decisamente epigrammatica, non manca nel suo linguaggio la cura per il ritmo del periodo. Antitesi, ripetizioni, interrogazioni, minutissimae sententiae sono gli artifici che arricchiscono la pagina senecana. Seneca ammonisce, richiama, esorta Lucilio. Evita però di adottare il tono del maestro libero da compromessi e debolezze, sottolineando invece come le stesse esortazioni egli rivolga a se stesso. Nelle lettere non mancano scorci sulle consuetudini di Roma imperiale per ribadire il rifiuto, da parte dell'autore, di partecipare all'esistenza dispersiva della società romana. Le letture manifestano in diversi passi l'attenzione di Seneca per il mondo della natura, soprattutto agli eventi più drammatici e misteriosi (sismi, eruzioni, tempeste). Gli accenni alla vita privata dell'autore sono rari: sono occasioni per sviluppare alcuni temi fondamentali della morale stoica: l'accettazione del dolore e della morte, la fiducia in un disegno provvidenziale che guidi il destino di ciascuno. Nelle citazioni storiche affiora la profonda nostalgia di Seneca per l'epoca repubblicana: si veda soprattutto la lettera dedicata alla visita alla villa di Scipione l'Africano, che preferì l'esilio volontario alla contrapposizione nei confronti del senato, con l'esaltazione della modestia del personaggio, emblematizzata nel bagno che Seneca contrappone con scintillante ironia ai bagni raffinati dei nuovi ricchi romani. L'eroe del mondo politico di Seneca è Catone l'Uticense. L'insistenza con cui Seneca ritorna su questo personaggio è quasi un presentimento della sorte che attendeva lo scrittore, destinato anch'egli al suicidio. La morale ascetica stoica è fondata sul distacco dei beni, sul rifiuto delle esigenze dell'ambizione, sull'accettazione del bene e del male come frutto, di un disegno provvidenziale. Seneca affronta spesso questo tema, affermando che egli non ritiene di possedere la perfezione, ma semplicemente di averla individuata e di tendere ad essa. La ricerca della sapientia presuppone la scelta in favore dell'otium: nei trattati filosofici egli aveva collegato le virtù della clemenza, della moderazione, dell'umanità al contesto sociale in cui esse venivano praticate. Nelle lettere a Lucilio invece l'ideale di virtus è collegato all'otium, è cioè squisitamente individuale: permette di coltivare una dignità e serenità di vita che sarebbero continuamente minacciate e contaminate nella vita pubblica. Nella lettera 73 Seneca ribatte l'accusa secondo cui il sapiente stoico sarebbe un suddito irrispettoso e un cittadino infido alla pubblica autorità. La risposta di Seneca: il sapiente stoico non chiede altro al sovrano che il bene comune e la sicurezza pubblica, grazie alle quali può dedicarsi al proprio fecondo otium. La celebre pagina in cui Seneca riconosce agli schiavi la dignità di persona nasce appunto dal fatto che l'individuo, la libertà e la serenità dell'animo umano, sono gli unici valori che Seneca ormai riconosce. La grandezza di Dio risplende pienamente solo nel mistero dell'animo grande. L'anima che trascende le sue passioni, domina l'avversa fortuna, è in pace con se stessa e con gli altri, non può essere mortale perché non ha in sé la fragilità dell'essere mortale. Dio è nella natura, nell'anima grande, ma anche nella storia, in tutto ciò che avviene. Se da un lato la meditazione di Seneca è il vertice della meditazione filosofica del mondo romano, dall'altra la sua morale risulta fondata sulla negazione delle pulsioni ineliminabili e fondamentali della natura umana: l'ambizione, l'amore, le illusioni giovanili.
Brani tratti dalle "Epistulae ad Lucilium".
-L'esistenza e il tempo (I).
È un inviti pressante dell'autore a Lucilio perché si decida a dedicare il tempo alla conquista della sapienza invece di perderlo in vane occupazioni.
-La presenza di Dio (41).
Seneca si occupa principalmente della presenza di Dio in noi e nella natura: la ricerca di Dio è uno dei temi più costanti del pensiero di Seneca. Questa lettera è pregevole anche per un consistente vigore letterario; l'autore ci permette di apprezzare il senso di religioso timore che talvolta ci coglie quando paesaggi naturali o fenomeni fisici ci ispirano quello che potremmo chiamare "senso del luminoso", ovvero la sensazione della presenza di un nume. Fenomeni speleologici o boschi secolari, dove l'intrico dei rami a grande altezza toglie all'improvviso al viandante la vista del cielo, e il buio improvviso e il freddo che ci coglie, anche nelle giornate estive, incutono nel viandante un senso di timore non diverso da quello che proviamo per le eclissi di sole nel cuore della giornata. Il Dio di Seneca non appare qui trascendente e gelidamente superiore al mondo degli uomini. Vi è chi vive tra noi senza confondersi con le nostre debolezze, senza soffrire per desideri inappagati, qualcuno che è presente sulla terra solo nella misura in cui percorre la terra un raggio di sole: rimanendo cioè nella sostanza, nella maggior parte di sé legato all'astro che lo produce. Questo uomo è il sapiente stoico, che reca in sé più ampia orma del Dio e quindi suggerisce a chi gli sta intorno quel "senso luminoso" che non è diverso da quello che ci ispirano i boschi o le orride spelonche. Altre similitudini completano questa lettera e ci portano nel mondo affollato e colorato del circo o sulle balze delle colline ricche di vigneti. Se in tutto ciò sappiamo cogliere ciò che è veramente essenziale (velocità nel cavallo, ferocia nel leone.), dovremmo saper cogliere anche ciò che è essenziale nell'uomo, che non può essergli dato o tolto dal fato. L'uomo è un essere vivente dotato di ragione, il suo comando è uno solo: vivere secondo natura.
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