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Erasmo da Rotterdam e
È grande nel Cinquecento la produzione letterale a proposito della descrizione di società ideali regolate da leggi perfette, tali da permettere uno sviluppo umano provo di costrizioni e limitazioni. Tommaso Moro, statista e scrittore del XVI secolo, nella sua opera Utopia critica la società e i costumi dell'Inghilterra cinquecentesca e fa il resoconto della vita nell'isola immaginaria di Utopia. Ogni proposta utopica di Moro nasce per rispondere ad una precisa situazione storica inopportuna. Nel periodo realistico quest'abbandono al sogno si spiega poiché svolge un ruolo d'impegno, critica e progettazione della città del futuro, quindi non è motiva dalle futilità della voglia di evasione e di fuga dalla realtà. L'esame del passato si sposta pertanto verso il presente, ed è dettato dai dubbi che sorgono verso la nascente società generata dall'economia di commercio. La progettazione di nuove società è però differente nelle varie opere utopiche poiché differenti sono i contesti nazionali in cui esse prendono forma: in ognuna di loro è comunque possibile rintracciare dei temi comuni come la valorizzazione del lavoro e, di contro, la critica riguardo all'ozio e al parassitismo. In queste opere è facile trovare anche i concetti dell'affidamento delle funzioni dirigenti in base alle capacità individuali e della religione ridotta a religione naturale ma proprio per questo motivo esaltata rispetto alla religione interpretata dagli storici. Tommaso Moro (1478-1535) si oppone alla politica imperiale di Enrico VII, ma diviene Lord cancelliere con Enrico VIII, ed è favorevole ad una riforma religiosa nell'ambito di una religione meno costrittiva e più naturale. Proprio Moro cade vittima dell'intolleranza e dell'odio teologico, e muore decapitato.
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