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Storia dell'energia elettrica
In Italia l'illuminazione elettrica di Piazza del Duomo, a Milano, la sera del 18 marzo 1877, fu un evento da prima pagina. Un prodigio ben presto seguito da altri e destinato a influenzare non solo la vita pratica e produttiva, dall'illuminazione dei teatri ai tram elettrici, ma anche le arti, con la nascita di movimenti come il Futurismo. Il momento era, letteralmente, epocale. Un mondo di lumi a gas e di ombre fitte stava per lasciare il posto a un futuro che si immaginava luminoso, in ogni possibile accezione. «Candele e lampade in disputa chiassosa hanno coperto i sussurri delle albe. Le morbide lune non hanno più potere sopra di noi, le luci dei lampioni sono pus eleganti, pus aspre», scriveva il poeta russo Vladimir Majakovskij, esprimendo il comune senso di meraviglia, non scevro da timore.
Ben altri stupori (e 313c26d orrori) sono seguiti e ciò che al nascere del secolo pareva una prodigiosa utopia, oggi è una realtà che rischia di sconfinare nel banale. I «pali della luce» sono ormai parte integrante del paesaggio, premere un interruttore per accendere la luce è un gesto cosi automatico che è molto più facile ricordare le volte in cui, per un blackout improvviso, non è stato possibile compierlo. L'elettricità è data per scontata, a casa come al lavoro. Eppure, basta fare un piccolo esperimento: cominciare a escludere mentalmente dalla propria vita gli apparecchi che richiedono l'impiego di energia elettrica. Via le lampadine, la tv, i computer, gli elettrodomestici tutti, dalla lavatrice allo stereo. E poi gli ascensori, i citofoni, la metropolitana, i tram, l'illuminazione pubblica, i macchinari che hanno rivoluzionato i meccanismi di produzione e il lavoro nelle fabbriche... Un incubo? Beh, si tornerebbe semplicemente al secolo scorso. A un'Italia legata a un'economia contadina che per far funzionare i macchinari installati nelle filande e nelle officine sfruttava in modo rudimentale l'antica risorsa di torrenti e salti d'acqua. L'«elettricità» come disciplina di studio aveva poco più di due secoli. Fu il medico e fisico inglese William Gilbert, attorno al 1600, a iniziare studi sperimentali sul magnetismo e a coniare il vocabolo, «elettricità», dal nome greco dell'ambra, elektron, rendendo casi omaggio ai primi che avevano osservato e registrato un fenomeno elettrico in natura: la proprietà dell'ambra di attirare corpuscoli se sfregata con un panno. Il resto è storia e, in gran parte, storia italiana grazie alle scoperte di due scienziati in polemica fra loro, il bolognese Luigi Galvani e il comasco Alessandro Volta. Il primo, studiando le rane con metodi che gli antivivisezionisti non gradirebbero affatto, scoprì che, scorticate, mantenevano la capacità di contrarre gli arti inferiori se i centri nervosi venivano stimolati e ne dedusse che gli esseri viventi possedessero un'intrinseca elettricità; il secondo corresse il tiro, dimostrando che l'elettricità poteva nascere dal contatto fra due metalli diversi. Era il 1800 quando mise a punto la pila, una colonnina di monete di rame, dischi di zinco e feltri imbevuti di acido che produceva corrente elettrica. La scoperta, importante anche perché stabiliva un nesso fra due discipline fino a quel momento ritenute del tutto differenti come la chimica e la fisica, destò scalpore, ma rischiò di rimanere confinata ai laboratori. Tra i nomi degli scienziati che contribuirono con i loro studi e i loro esperimenti a farla uscire da quell'ambito, non bisogna dimenticare un altro italiano, Antonio Pacinotti, il fisico pisano che perfezionando il lavoro del chimico e fisico inglese Michael Faraday, scopritore del fenomeno dell'induzione elettromagnetica, fondamentale per la realizzazione di generatori e motori elettrici, ideò e costruì (ma non brevettò) il prototipo della dinamo, un generatore a corrente continua. Ed ecco il «miracolo» di piazza del Duomo illuminata a giorno. E anche quello di poco successivo, «sponsor» il senatore Giuseppe Colombo, ministro delle Finanze e fondatore del Politecnico di Milano, quando, nel 1883, il Teatro di Santa Radegonda ospitò il primo impianto termoelettrico in Europa. Aveva una potenza di 400 kW, assicurava l'illuminazione delle principali vie della città. Era stato il versatile e pratico Edison, inventore statunitense tuttofare, l'anno prima, a creare la prima centrale per la produzione di elettricità mettendo a punto l'effetto termoelettronico che porta il suo nome. A lui si devono anche la lampada elettrica con filamento a carbone e il contatore. In Italia fu poi la volta di Tivoli, dove il primo impianto idroelettrico, che sfruttava le abbondanti cascate create dall'Aniene e permetteva all'illuminazione a luce elettrica» della città, fu inaugurato nel 1886 (fu lo stesso impianto, potenziato, nel 1892, a portare 1'energia elettrica a Roma). Il Messaggero, dando la notizia con grande risalto sottolineava l'apporto dato all'impresa dalla Casa Bellani di Torino, «che impiantò l'illuminazione col sistema Gaulard & Gibbs, per l'incarico affidatole dalla Società pel le forze idrauliche di Roma». L'ingegner Gaulard, presente all'inaugurazione, aveva presentato per la prima volta, all'Esposizione Universale di Torino, il trasformatore elettrico che, insieme alla scoperta del campo magnetico rotante fatta da Galileo Ferraris, fu il passo successivo nello sviluppo della corrente elettrica alternata. indispensabile per trasportare l'energia prodotta a grande distanza e far casi diventare la nuova risorsa forza motrice per le fabbriche e per i trasporti. Il clima dell'epoca è quello ingenuamente trionfalistico «fotografato», con trionfi di lampadine e abatjours, dal Ballo Excelsior. Al volgere del secolo, con la creazione dei primi impianti di grandi dimensioni, a Paderno d'Adda e a Vizzola Ticino, nasce l'industria elettrica italiana e il Paese cambia volto.
La ricchezza di acqua favorisce il moltiplicarsi delle centrali idroelettriche, ma vengono messi a punto anche altri sistemi di produzione, alimentati da combustibili fossili come carbone, gas naturali, gasolio o da fonti geotermiche (soffioni); con i centri di produzione si moltiplicano le società per la gestione e la distribuzione, favorite da una legislazione liberale, che stabilisce un regime privatistico per le concessioni.
Nel 1905 l'Italia è la prima nazione europea per potenza idroelettrica installata, nel 1912 registra il primato europeo per la lunghezza delle linee ferroviarie elettrificate. L'elettricità è un business, e la Prima Guerra Mondiale, con l'impulso delle commesse militari, concorre a moltiplicare i consumi d'energia. «Elettrificare» diventa la parola d'ordine. Anche per Mussolini, che punta, utopisticamente, all'autarchia e investe in nuovi mega impianti produttivi. Prima di arrivare alla nazionalizzazione dell'energia elettrica, già auspicata da Francesco Saverio Nitti a inizio secolo, però, ci saranno un'altra guerra planetaria, con il successivo sconquasso e una svolta netta verso l'impiego di centrali termoelettriche.
La data di nascita dell'Enel l'Ente nazionale per l'energia elettrica che per generazioni di italiani è stato ed è sinonimo di elettricità, è il dicembre 1962. La nazionalizzazione si propone di porre un freno agli oligopoli privati, che creano dislivelli da regione a regione e contribuiscono a frenare l'economia. Il boom economico promette frigoriferi e lavatrici a tutti, o quasi, la tv diventa il nuovo fulcro della vita familiare e sociale. Ed «elettrificare» è più che mai la parola d'ordine.
Ora, trent'anni dopo, metabolizzata la crisi petrolifera del '73 e registrato il rifiuto del nucleare del 1986, andiamo a recuperare gli elettrodomestici che avevamo idealmente accantonato, e facciamo il punto. L'elettrificazione è compiuta. La storia finisce qui? Non è detto. Come spesso capita, anzi, potrebbe tornare, in un certo senso, su stessa, verso una nuova epoca pionieristica. In campo economico il nuovo corso indica la via della privatizzazione; in campo scientifico le sfide per il futuro ora sono la ricerca di fonti energetiche alternative, antiche, come l'acqua, il vento e il sole. E se in ogni casa oggi è comune avere le prese per la corrente, presto le fibre ottiche potrebbero diventare altrettanto usuali. La nuova parola d'ordine? Cablare.
I vantaggi dell'elettricità
Per diverse ragioni l'energia viene trasportata e resa disponibile sotto forma di elettricità. L'energia elettrica, infatti, può essere trasportata dai generatori alle utenze mediante una rete di cavi facilmente installabile e senza perdite apprezzabili; può essere trasformata con alto rendimento in energia termica, meccanica e chimica; può alimentare un altissimo numero di apparecchi elettrici ed elettronici e di sistemi di illuminazione; è controllabile istantaneamente nel punto di utilizzo: per accendere o spegnere un dispositivo elettrico è sufficiente lo scatto di un interruttore.
Problemi di produzione dell'energia elettrica
L'energia elettrica è fondamentale per il mantenimento del tenore di vita nelle società altamente industrializzate ed è indispensabile per i paesi in via di sviluppo. A lungo termine, tuttavia, si pone il problema dell'esaurimento dei combustibili fossili e nucleari. All'attuale tasso di consumo, le stime di durata delle scorte vanno da 40-60 anni per il gas naturale e il petrolio, a 200 anni per il carbon fossile. Un problema più pressante è quello dei sottoprodotti della combustione di carbon fossile, gas naturale e derivati del petrolio, che sono estremamente nocivi per l'ambiente. L'accumulo negli ultimi decenni di anidride carbonica, il gas che più contribuisce all'effetto serra, viene considerato il maggiore imputato dell'aumento della temperatura sulla superficie terrestre (riscaldamento globale).
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